giovedì 7 giugno 2007

patate verdi

patate verdi di Giovanni Sicuranza

Chissà cosa ha mangiato Vincenzo.
Elena se lo chiede, mentre compone veloce il numero di Cristiano.
Deve avvisarlo di quanto è successo, di come ha trovato suo marito. Non può farne a meno, anche se ha appena parlato con il dottor Muti.
L’agitazione le inonda il corpo, balza sul cuore, sul respiro, nelle tempie.
Vincenzo non ha cenato a casa e lei non sa cosa ...
Il suono del campanello la distoglie dalle domande che si affollano nei pensieri.
La cornetta del telefono sussulta nella sua mano pallida. Lei se ne libera con uno scatto, come se scottasse, e intanto respira veloce, la bocca aperta in una richiesta senza suono, gli occhi smarriti nell’ombra del corridoio. Verso l’ingresso.
Poi, ancora il suono, così forte, così perentorio, da annullare la voce di Cristiano, filtrata lungo la cornetta che oscilla nell’aria.
Driiinnn, urla il campanello.
- Elena – urla la voce di Cristiano.
Aiuto!, risponde la donna, senza emettere suono, le mani arrampicate sulla bocca, le dita che affondano nella guance e scavano la pelle, un po’ di più ad ogni battito impazzito del cuore.
- Apri la porta, Elena!
- Cosa? – chiede lei, finalmente anche con la voce, spezzata, stupita – Cosa? – si volta verso la cornetta.
- Apri la porta, Elena – ripete il telefono – Sono io, Cristiano.
Elena apre e chiude le palpebre, fa’ per parlare, si volta verso le ombre dell’ingresso e poi, ancora, lascia cadere gli occhi sulla cornetta.
Nera, impiccata al filo del telefono. Piena della voce del suo amante.
- Cristiano? – geme, le mani che si rifiutano di lasciare il viso per prendere l’apparecchio – Cristiano?
Driiinnn
Il campanello la assale alle spalle con denti aguzzi.
Elena si getta sulla cornetta, le ginocchia che affondano nel tappeto del soggiorno, a pochi passi dal corpo del marito.
- Cristiano – urla nel microfono – Vincenzo sta male non capisco non so cosa fare ho chiamato il medico ma – gli occhi sfiorano il corpo immobile del marito – Aiuto aiuto!
- Fammi entrare, Elena. Sono qui, all’ingresso.
Come se l’uomo potesse vederla, Elena annuisce, quindi si arrampica sul comodino.
Ma i suoi gesti sono goffi, confusi. Il comodino si inclina e il telefono precipita con un lamento leggero, un trillo. Un’agonia.
Elena si blocca. Guarda il telefono riverso sul pavimento, vicino alla mano gonfia di Vincenzo.
- Cristiano? – chiama.
Silenzio.
La donna si gira verso l’ingresso.
- Cristiano? – implora, con il desiderio improvviso di sentire il campanello.
Silenzio.
- Cristiano – le mani tornano al viso e si chiudono sugli occhi umidi di pianto – Vincenzo – il corpo si affloscia su se stesso, le ginocchia piegate al suolo, il tronco sulle anche, il mento sul petto – Ma cosa succede?
Arriva una sola risposta, così rapida ed intensa da riempirla. Sale dalla mente e si irradia in ogni sensazione.
È una coltellata, una fitta di dolore che sembra aprirla in due e che la sdraia del tutto sul pavimento. Tra il caldo manto del tappeto.
Accanto ai corpi immobili del telefono e del marito.
***
- È andata anche lei?
Elena avverte sul viso l’alito che accompagna le parole. Anche se si sente ancora confusa, riconosce la voce di Cristiano. Vorrebbe sforzarsi di aprire gli occhi, e cercarne lo sguardo rassicurante, ma qualcosa le consiglia di fingersi ancora svenuta. È una sensazione che la confonde ancora di più, perché il tono dell’uomo non è quello preoccupato che si aspetterebbe.
Avverte una mano fredda prenderle un polso e tenerlo così, stretto, sollevato a mezz’aria.
- No. È solo svenuta.
La mente della donna ha un nuovo sobbalzo quando riconosce anche la voce del dottor Muti.
E ricorda, ora, all’improvviso.
La cena della sera prima, a casa di Cristiano. Le lenzuola fruscianti tra i loro corpi pieni di desiderio. E il ritorno a casa, forse tardi, troppo tardi, con il cuore in gola e la speranza che il marito non l’avesse preceduta.
Da oltre un mese approfitta delle assenze di Vincenzo per incontrare l’amante. Un mordi e fuggi, nel tempo che suo marito trascorre al mercato ortofrutticolo, ad organizzare gli arrivi notturni della merce.
E dove Cristiano lavora di giorno. Solo di giorno.
Così lei ha un uomo per la notte, nascosto come il buio, e un altro per il giorno, esibito senza sotterfugi.
Il punto è che Elena non può rimanere sola, non lo sopporta, e se ha un amante la colpa è di Vincenzo.
Anche prima di sposarla, lui sapeva che non doveva trascurarla. Eppure continua a preferirle il lavoro, e i suoi ortaggi, “orgoglio della città”, come declama la scritta del furgone con il quale svanisce nella notte.
E così anche lei ha ritrovato il suo orgoglio. Tra le labbra e le braccia dell’amico di lunga di Vincenzo. Tra le sue gambe.
- Cosa facciamo, adesso? – le arriva la voce di Cristiano, nel buio, mentre lei rimane immobile, sdraiata sul pavimento, accanto al corpo del marito.
- Dovremmo lasciarla qui – sentenzia il dottor Muti.
Oddiodiodio, cantilena Elena, spaventata, sforzandosi di non cedere all’impulso di urlare.
Il dottore e il suo amante si conoscono, dunque.
Muti è il loro medico di famiglia, lo è da quando lei e Vincenzo si sono fidanzati, ma non ha mai sentito il marito parlare di una conoscenza con Cristiano. Non ha mai sentito nemmeno Cristiano parlare del medico. Mai.
Eppure eccoli qui, entrambi.
Nella sua casa.
Per questo Elena sa che è meglio fingersi ancora svenuta, così svenuta da sfiorare la morte.
Come mai Cristiano era già alla porta quando lei lo ha chiamato? Come hanno fatto questi due ad entrare?
Le domande si rincorrono nella mente, così confuse da accavallarsi una sull’altra.
Elena ritorna al suo rientro in casa.
Alla certezza di essere stata scoperta, quando, entrando, l’aveva accolta la luce del soggiorno. Accesa.
Si era avvicinata, le gambe che tremavano, tutti i pensieri in corsa verso una scusa credibile che giustificasse la sua assenza.
“Vincenzo?”, aveva chiamato, piano.
Chissà, forse si è addormentato, era stata la sua speranza.
E in effetti per un istante aveva sorriso, sollevata.
Vincenzo era seduto, il capo reclinato sul tavolo. Ma poi, avvicinandosi oltre le penombre, aveva capito che Vincenzo non dormiva.
Intanto, mancava il suo lieve russare. Anzi, mancava proprio tutto. Il ritmico movimento delle grosse spalle, il respiro stesso.
Vincenzo era un enorme sacco, immobile, proprio come i sacchi dei suoi ortaggi.
E prima di toccarlo, prima di vederlo crollare sul pavimento, gli occhi di Elena avevano avuto un lampo sul piatto accanto al suo viso.
Patate, patate e patate. Crude, alcune nemmeno sbucciate.
“Ma perché non le ha cucinate?”, si era chiesta.
Nello stesso istante, Vincenzo era scivolato sul tappeto, in un tonfo che aveva riempito la stanza.
E per Elena, timorosa di essere stata scoperta dal marito, era iniziato il vero incubo.
- Lui è proprio andato – le arriva la voce del dottor Muti.
No, non è vero, urla Elena con il pensiero. Ma ancora non osa muoversi.
- Questo era previsto, ma lei, cosa facciamo con lei?
Cristiano, Cristiano, maledetto, perché?
- L’unica cosa possibile.
- Sì, anche Vincenzo sarebbe d’accordo.
Tutto il resto è veloce.
Elena si sente afferrare ai polsi e alle caviglie. Spalanca gli occhi sul viso dell’amante, che a sua volta la guarda in una silenziosa “o” di stupore. Fa’ per scalciare, ma quelli stringono ancora di più, sente Cristiano urlare qualcosa al dottore e Muti parlare di una siringa. Poi, ancora, arriva la coltellata alla testa, assoluta, senza appello, senza respiri.
E Elena ritorna nel buio.
***
- Buonasera.
È il primo suono che accoglie la donna, anche se lei non ne comprende il significato. Ascolta il suo corpo e intuisce che c’è qualcosa di nuovo.
Apre gli occhi e il buio prende la forma di pareti bianche.
- Dove? – chiede al vuoto, prima che le palpebre si abbassino. Pesanti.
- Dove si trova? – la voce è sconosciuta, ma gentile – In ospedale, signora. Io sono il maresciallo Pasquale Losaccio.
Elena diventa una corda tesa. Spalanca gli occhi, fa’ anche per balzare sul letto, ma il corpo non è d’accordo, non ancora, e lei ripiomba sul cuscino, pesante.
- Mio marito – sussurra, cercando di mettere a fuoco l’uomo seduto al suo fianco – Vincenzo. Lo hanno lo hanno – la parola è chiara nella mente, ma è così difficile pronunciarla. Elena chiude di nuovo gli occhi, spossata. “Ucciso”, conclude nel pensiero.
- Lo sappiamo, signora – le risponde il maresciallo, come se l’avesse udita. Una pausa, un sospiro – Riposi, ora. Qui è al sicuro.
- So chi è stato – mormora lei, raschiando tra le ultime forze, mentre si sente affondare in un vortice di incoscienza.
- Sì, stia tranquilla. È tutto risolto – la rassicura la voce, dolce, già lontana – Siamo arrivati in tempo.
Elena sorride. O crede di farlo.
Siamo arrivati in tempo, siamo arrivati in tempo, la frase del maresciallo rimbalza negli echi esausti della sua mente.
Tranquillizzante come una ninna nanna.
***
Pasquale Losaccio abbassa la maniglia. Prima di uscire dalla stanza, si gira un’ultima volta ad osservare la donna. La flebo di tranquillanti si svuota piano nelle sue vene.
- Sembra così indifesa – mormora alla persona che è rimasta sull’uscio tutto il tempo.
Il dottor Muti solleva gli occhiali scivolati sul naso.
- Lo era, prima dell’incidente – quindi si scosta, per lasciare uscire il maresciallo.
L’altro annuisce, lo sorpassa e si blocca, sull’uscio.
- Un caso così non lo avevo mai visto – sussurra, senza voltarsi verso il medico – Scommetto che per lei non è una novità.
Una pausa, lunga, piena dal frinire dei neon appesi al soffitto della corsia, simili a grosse vene pulsanti.
- Le posso offrire un caffè, maresciallo? Anche se a quest’ora funzionano solo le macchinette.
Pasquale Losaccio si gira verso il dottor Muti.
- Mi piace il caffè delle macchinette.
E i due uomini si incamminano lungo il deserto della corsia.
***
- L’incidente di un anno fa’ alla fine è stato fatale – osserva il medico, mentre gira il cucchiaino nel bicchiere di plastica. Un gesto automatico, distratto, gli occhi persi in un recente passato.
- Insomma, la signora si era lanciata a folle velocità con l’auto – gli fa’ eco il maresciallo, lo sguardo curioso che cerca di catturare quello del dottore - E il palo ha fatto il resto.
- Sì. Elena ha subito una grave lesione all’encefalo. L’abbiamo operata proprio qui, alla clinica neuropsichiatria. E l’abbiamo salvata – un sospiro – Solo che non era più Elena.
Il dottore solleva il bicchiere alle labbra, ne assaggia appena il contenuto, poi lo abbandona sul tavolino.
- Ero a conoscenza del segreto di Vincenzo, sa? Il problema è stato quando lo ha scoperto Elena. Suo marito aveva una relazione omosessuale con Cristiano, il loro grande amico. Lui aveva le chiavi dell’appartamento e quella sera lei lo ha scoperto mentre si faceva una doccia. Era sconvolta. Per questo correva sulla strada, voleva fuggire da suo marito e dal suo amico.
Il maresciallo beve il caffè e annuisce.
- Quando è uscita dal coma, si è creata un suo mondo, rassicurante. Un mondo in cui Cristiano era il suo amante.
Muti gli lancia un’occhiata, stupito, come se si accorgesse solo ora della sua presenza.
- Sì, le lesioni del lobo frontale possono provocare allucinazioni, di ogni tipo, anche strutturate – di nuovo gli occhi corrono lontani – Come è accaduto ad Elena. Da allora vive così. Ma una parte di lei ha continuato a provare un forte rancore verso il tradimento del marito. In un angolo della sua coscienza ricordava. E odiava – lo sguardo di Muti cerca il bicchiere sul tavolo e si immerge nel caffè fumante – Però non ne era consapevole. Almeno fino alla scorsa notte, quando l’incidente ha avuto la sua vittima a distanza.
Pasquale Losaccio lancia il bicchiere vuoto nel cestino al suo fianco. Un tiro facile. Poi tenta di nuovo di catturare lo sguardo smarrito del medico, nel silenzio della clinica velata di notte.
- Sembra che abbia servito al marito il suo piatto preferito. Patate. Solo che erano crude. E verdi. Il medico legale mi ha detto che aveva lo stomaco piene. Chissà perché lui le ha mangiate.
Il dottor Muti solleva gli occhiali sul naso, un gesto che il carabiniere gli ha già visto fare molte volte in poche ore. I suoi occhi sono sempre persi, oltre le lenti.
- Credo che Vincenzo volesse morire e in qualche modo si aspettasse che fosse la moglie a mettere fine a tutto. Si sentiva responsabile di quanto accaduto.
- Sì, forse è andata così. Mi hanno spiegato che la patata verde non è acerba, come credevo. No, la patata verde è molto peggio. Contiene solanina, un alcaloide velenoso, che nell’uomo provoca gravi disturbi intestinali, allucinazioni, paralisi. Fino alla morte.
Muti annuisce, piano, gli occhi che non cambiano espressione.
Il maresciallo si alza dalla sedia. Indica il bicchiere abbandonato sul tavolo.
- Le conviene berlo, freddo non sa di nulla.
E, senza aggiungere altro, si incammina lungo gli echi della corsia.
Muti non risponde, non prende nemmeno il bicchiere. Si limita ad osserva la grande figura del maresciallo che si allontana, riflessa dal bianco dei neon.
- Lo so – mormora – Avevo spiegato ad Elena delle patate verdi, anche se lei non lo ricorda – chiude gli occhi e deglutisce - Come non ricorda più che prima dell’incidente eravamo amanti.
Quindi si abbandona sullo schienale della sedia.
Tutto intorno, la clinica è immobile s
ilenzio. Avvolto dal buio.

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