lunedì 30 luglio 2007

visti da vicino (in requiem)

visti da vicino (in requiem) *

Il lento assorbirmi della terra
avida di respiri e pulsazioni
mi gonfia in un ghigno
crescente e fiero
sulla tristezza e le lacrime
lasciate appassire nella mia fossa.

Con occhi cavi di vermi e radici
scruto la lunga processione
dei vostri sospiri.

Freschi di pelle e belle speranze
eccovi a vagare
sopra lapidi e tombe
ignari che è qui che un giorno
anche voi presto cadrete.

E le mia labbra si innalzano ancora
nel riso soddisfatto della putredine.


* versi tratti dal romanzo "lungo il vento" di Giovanni Sicuranza

sabato 28 luglio 2007

torneo di racconti

Altra sorpresa per il qui presente fantasista noir.

Alcuni suoi racconti sono entrati in classifica per un torneo a votazione.
Con una formula senza dubbio accattivante, che ricalca i tornei ad eliminazione di calcio (tipo mondiale, per intenderci; o almeno, per intendervi, visto che il calcio non ha fascino per il solito qui presente).

Chissà cosa ne uscirà fuori. E chi ne uscirà fuori.

Comunque, per interessati vari ed eventuali, il link è:

http://www.zaffoni.it/cc-32mi.htm

Tra l'altro, può essere anche un buon punto di partenza per perdersi nei racconti di affermati scrittori noir.

domenica 15 luglio 2007

dove scorre il fiume. bellombra.

Dove scorre il fiume. Bellombra. di Giovanni Sicuranza

Il vecchio è un ricordo appassito nei sotterranei del fiume. Gli occhi chiusi, il mento reclinato sulla divisa arancione, ascolta il bisbiglio delle acque sotto i suoi piedi, lo sente diventare forte sugli echi delle mura e vorrebbe piangere.
Perché lui non è più forte. Forse non lo è mai stato.
- Andiamo, tocca a te.
La mano che poggia sulla sua spalla ha il tocco delicato, ma il vecchio sa che se solo tentasse di andarsene, di incamminarsi lungo il tracciato proibito dell’Aposa, da quella mano arriverebbe la morte.
- Andiamo – ripete la donna. E stringe, solo un po’, quel tanto che basta a esortare il suo corpo flaccido.
L’uomo apre un occhio, uno solo. L’altro mostrerebbe un’orbita vuota, assorbita dall’usura del biostimolatore già da tanto tempo.
- Sa dove siamo? – chiede, stanco.
- Cosa? – domanda a sua volta Darlia, colta di sorpresa, gli occhi che corrono al miliziano al suo fianco. Il soldato del Presidio Religioso guarda a sua volta il vecchio, come se fosse un ologramma di pessima qualità.
- Lei è un capitano, vero? Lo vedo dalle decorazioni – un dito del vecchio si alza verso il petto di Darlia.
Il miliziano è lesto ad estrarre la lama elettrica.
- Aspetta – ordina Darlia, con un gesto brusco della mano, senza staccare gli occhi dal vecchio – Cosa volevi dirmi prima?
Lui non risponde, non subito. Prima si volta verso il fiume, il viso che esce dalle ombre.
La luce cade fragile dalla città ai sotterranei, attraverso le grate, lì dove l’Aposa ha il suo letto. Ed è in uno di questi sottili bagliori che il capitano Darlia riesce a scorgere meglio il profilo del vecchio, le rughe sottili come graffi, i capelli bruciati dal sole che appesantisce Bonomia.
- Tanti anni fa, il fiume scorreva libero. Nessuno avrebbe mai pensato di tombarlo.
- Tombarlo – ruggisce il miliziano, un passo verso quel rudere umano – Come osi, vecchio? L’Aposa è sacro, ci da la vita. Lo abbiamo coperto per non farlo prosciugare dal sole!
Darlia scuote la testa. Il soldato esita, fa per aprire ancora la bocca, poi ritorna al suo posto.
- Un tempo questo fiume si chiamava Avesa, non Aposa – continua il vecchio, indifferente a tutto tranne ai ricordi – Il suo tratto iniziale era all’aperto, sotto il cielo. Solo dopo scendeva sottoterra e percorreva i vicoli bui di Bologna. Ma a tratti tornava a galla, ancora, per la gioia e il refrigerio della sua gente.
Il miliziano alza di nuovo l’arma elettrica. Il metallo scintilla al contatto con la lama di luce filtrata dalle grate.
- Cos’è, sei nuovo? Sei nervoso? – Darlia gli si para davanti, visibilmente seccata – Lascialo parlare. È un suo diritto.
- Mi scusi, capitano – mormora il soldato, afflosciandosi alla parete, lo sguardo basso.
- Sopra di noi c’era via Bellombra. Un bel nome, vero? – l’occhio sano si gira all’improvviso a cercare Darlia - Un nome di una strada da fiume. E il fiume, quella via, lo aveva sotto, nei canali, come un amante nascosto.
- Quanti anni hai, vecchio? – la voce della donna sembra esitare. Un senso di smarrimento che cerca di contrastare ripetendosi che sta compiendo il dovere imposto dai Maestri.
Lui scuote testa e rughe, lo sguardo ancora nel fiume.
- Non lo so, non lo so più, signora, davvero – l’occhio si chiude – L’anno scorso ho superato il limite di età. Mi avete cancellato anche il nome.
- Hai progetti di vita?
- No, signora.
- Hai una famiglia disposta a prendersi cura di te, completamente, senza nulla chiedere alla Città di Bonomia, né al Sacro fiume Aposa, per mantenerti?
Silenzio. L’acqua scivola a pochi passi, in un suono cristallino.
Darlia trattiene il fiato.
Mi dispiace, pensa, le parole che si gonfiano e vorrebbero uscire in un grido, Mi dispiace tanto.
La sua espressione, però, rimane impassibile, come quella del miliziano al suo fianco.
Molti metri più in alto, sopra le loro teste, c’è la Sede della Sezione Crediti Vita, Ministero della Salute. Qui, i visi esprimono espressioni diverse.
***
- Il vecchio deve rispondere – esorta la dottoressa Muschio, china sul video che trasmette le immagini dai sotterranei del fiume, lungo i cavi ottici del grattacielo del Ministero della Salute – Il capitano deve ripetere la domanda. Perché non lo fa?
- Lo farà – replica il maresciallo capo Amentore, alle sue spalle – Darlia è un buon miliziano.
La dottoressa Muschio ha un grugnito e affonda ancora di più il viso nello schermo, forse nel tentativo di entrare nella scena ed esortare il vecchio a rispondere.
Amentore socchiude le palpebre.
Sì, Daria è un buon miliziano, si ripete, non esiterà.
Eppure i led degli altoparlanti rimangono spenti anche il momento dopo e quello dopo ancora.
Amentore stringe i denti.
- Cosa succede, maresciallo capo? – la dottoressa Muschio si gira con un’espressione feroce. Per un istante, Amentore si stupisce che il suo viso non sia rimasto appiccicato allo schermo.
– Il suo “buon miliziano” sta esitando – insiste il medico, spostando un macigno di ironia verso l’uomo – Se il vecchio non risponde, bisogna usare lo stesso la formula della sentenza. Il capitano la conosce, però non la usa. Forse lei lo permette perché quella donna in divisa aspetta tre suoi gemelli?
L’attimo dopo, i muscoli della mano di Amentore sono tesi intorno al collo della dottoressa.
- Un'altra battuta così – sibila il maresciallo capo – Un'altra battuta così e la faccio annientare. Il capitano è stato fecondato dal sottoscritto al solo scopo di dare nuovo nutrimento alla terra dell’Aposa – la mano si apre di scatto, il corpo della dottoressa si affloscia al suolo - Abbiamo avuto il permesso di accoppiarci dai Maestri in persona, per cui ogni sua battuta è da considerarsi reato di bestemmia!
Quindi scavalca la dottoressa, incurante del vomito che sta spargendo sul pavimento, e si piazza a sua volta davanti allo schermo. In un gesto rapido, sfiora il simbolo con il punto interrogativo. Sopra l’immagine di Darlia, sopra il letto sacro dell’Aposa, si apre una schermata.
Amentore legge, veloce.
Il vecchio è affetto da una grave patologia cerebrale, che tanti anni prima ha reso necessario l’uso del biostimolatore. Si trattava di uno dei primi modelli, quelli che aiutavano ad avere una vita decente, ma non duravano a lungo.
Anzi, Amentore si stupisce che questo abbia funzionato fino ad oggi.
Certo, le sue scosse neuronali hanno leso un nervo ottico, ma il vecchio è ancora lì, e parla, e si muove.
La schermata successiva mostra le scansioni encefaliche più recenti.
- Atrofia cerebrale diffusa – gorgoglia la dottoressa Muschio, di nuovo in piedi – Senza il biostimolatore, quel tipo sarebbe già stato un onere per la nostra società da tempo. Secondo le nuove tabelle mediche è da considerarsi invalido assoluto.
- Lo so – replica Amentore, duro.
Perché esiti, Darlia?, chiede al video, Perché non reciti la formula?
Sfiora di nuovo il tasto interrogativo e la schermata scompare.
Nello stesso tempo l’audio irrompe nella sala.
***
- Vecchio, poiché il tuo silenzio dimostra che nessuno è in grado di prenderti a carico, senza gravare sui costi e sull’acqua di Bonomia, ti dichiaro invalido assoluto a far data da oggi.
Il capitano Darlia ha parlato in fretta, senza pause, ed ora annaspa alla ricerca dell’aria. Nei sotterranei non c’è afa. Lungo il torrente dell’Aposa la terra è rigogliosa grazie ai resti organici degli animali e degli uomini. È fresca. Eppure Darlia si sente soffocare.
Forse è la gravidanza, pensa, per nulla convinta, Troppo presto. La fecondazione è avvenuta solo una settimana prima.
La verità è che ciò che la turba è davanti a lei. Indossa la larga divisa arancione dei senza nome, di coloro che sono rifiutati dalla vita sociale, ha un occhio infossato e l’altro piccolo come quello di un bambino.
E la guarda, fragile.
- Posso diventare humus in questo tratto?
Darlia deglutisce.
- Posso, capitano? – il vecchio muove un passo verso la donna. Il miliziano alza la lama metallica, ma il suo gesto è lento, per nulla convinto.
- Vuoi … - inizia Darlia. E si blocca, perché sente che se apre di nuovo la bocca, il resto della frase uscirebbe strozzato.
- Voglio essere seppellito sotto via Bellombra, dove la gente passeggiava e prendeva quei dolci freddi, quando l’afa non ci uccideva. Dove il fiume scendeva sottoterra, a raffreddare la strada.
Darlia si morde il labbro.
- La prego, capitano. Lei ha gli occhi buoni – il vecchio muove un altro passo, in un gemito di articolazioni – Mi dia questo ultimo desiderio.
Darlia apre la bocca, inspira, alza lo sguardo sulla volta che avvolge il canale, poi lascia libera la parola.
- Sì.
- Capitano, no, non è autorizzato a … - protesta il miliziano, ma anche la sua frase cade incompleta.
Darlia lo guarda e per la prima volta lo vede, questo soldato ai suoi ordini. L’esempio della seconda generazione indottrinata dai Maestri, fedele e fiera.
Ma ora il suo volto è solo quello di un ragazzo, pieno di domande.
Il capitano torna al vecchio.
- Da domani i tuoi resti riposeranno lungo questa sponda – sospira - Te lo prometto.
***
La porta scivola silenziosa lungo i cardini laser.
Amentore sbatte le palpebre e chiude il file aperto nella mente, le sbatte ancora e vede il capitano Darlia sulla soglia del suo ufficio.
- Accomodati – la invita, la mano che indica la poltrona al suo fianco.
Lei si muove, silenziosa.
- Lo sai che una volta ti saresti seduta dall’altra parte di un tavolo?
- Un tavolo? – ripete Darlia, perplessa.
Amentore sorride.
- Si, sei nell’ufficio del tuo superiore, di un maresciallo capo del Presidio Religioso di Bonomia. Ed eccoci qui, seduti uno a fianco dell’altra.
L’espressione perplessa di lei diventa più forte.
- E allora?
- Allora una volta, ai tempi della vecchia città, ci sarebbe stata una scrivania a dividerci. Ci appoggiavano la carta, sai, fogli, documenti, lettere, cose così – Amentore si sporge verso Darlia - E allo stesso tempo rimarcavano la superiorità e la distanza tra il superiore e il subalterno – sussurra.
La donna alza le spalle.
- Beh – inizia lui, poi chiude le labbra, gli occhi che scrutano quelli del capitano. Lei abbassa lo sguardo.
- Stai bene, Darlia? Oggi, con quel vecchio, sembravi esitare.
Nessun suono, nessun movimento dalla donna.
Amentore si alza in piedi e si porta alla finestra schermata.
I grattacieli che riflettono i colori del cielo sembrano lingue di fiamma. Bonomia brucia ad ogni tramonto.
- I Maestri hanno deciso di eliminare questi simboli di differenza sociale. Certo, loro fanno ancora uso delle scrivanie, ma deve essere così. Sono le nostre guide – le mani del maresciallo capo si uniscono dietro la schiena – E per i documenti, abbiamo tutto nei cerebro-file, non ci servono più tavoli da lavoro.
- Perché mi racconti queste cose? – chiede finalmente Darlia.
Amentore si gira verso di lei e la scopre ancora seduta, gli occhi smarriti.
- Prima che entrassi, stavo esaminando i casi da divisa arancione scovati in questo Presidio.
- Abbiamo una buona media – aggiunge Darlia, senza alcun interesse.
Amentore annuisce.
- Sì. E da qualche mese tu risulti la migliore a scoprire gli invalidi assoluti da eliminare.
- Grazie – lo sguardo di Darlia si rifugia nel pavimento.
Amentore esita, un solo istante.
- Aspetta a ringraziarmi.
Il volto di lei ha un tuffo in alto, verso quello del maresciallo capo.
- Cosa vuoi dire? – chiede, gli occhi ora attenti.
- Sei spaventata, Darlia?
- No – inizia lei, rilassandosi sulla poltrona – No – ribadisce, più decisa – Solo che non capisco a cosa ti riferisci.
Il maresciallo capo allunga un passo verso la donna, poi un altro ed è già di fronte a lei, le mani sempre dietro la schiena.
- I crediti vita residui degli invalidi eliminati passano al settanta per cento al Ministero della Salute e al trenta per cento al funzionario del Presidio che ha scovato il soggetto – Amentore si china appena – Ti sta andando bene, Darlia.
Lei regge il suo sguardo, dura.
- Vieni al sodo. Mi stai accusando?
- No, non ancora, almeno, e non ufficialmente. Ma ho il sospetto che tu stia segnalando degli individui che non sono del tutto invalidi, che ne stia aggravando la patologia per poterti intascare la quota dei loro crediti vita.
Darlia scuote la testa.
- È mio dovere di responsabile del Presidio Religioso sorvegliare affinché le Leggi siano applicate regolarmente – Amentore sospira – Niente di personale.
- Sono tutti casi clinici documentati – fa osservare la donna, con tono incredulo – Come puoi pensare che il tuo capitano sia un mistificatore?
L’uomo si allontana verso la porta.
- I risultati delle scansioni organiche si possono falsificare – replica, rivolto alla schermata nera accanto alla tastiera di uscita, dove un led ha iniziato a lampeggiare.
- Ecco, lo aspettavo.
- Che cosa? – la voce di Darlia arriva alle sue spalle, spezzata.
Per tutta risposta, Amentore scorre velocemente gli occhi sulla schermata.
Poi si interrompe, il capo che si alza, fisso davanti, sulla porta.
- Ho richiesto l’esame autoptico sul vecchio che hai fatto eliminare oggi.
Darlia scatta in piedi.
- Cosa? – urla alla nuca del suo superiore.
Amentore non si scompone.
- Rimettiti a sedere, Darlia, o ti faccio portare via dalla Milizia per insubordinazione a un tuo superiore, con l’aggravante che sei una donna.
Darlia si affloscia sulla poltrona, il viso tra le mani.
- Scusami, sai. È solo un atto dovuto, un controllo. I referti organici si possono modificare, ma l’autopsia no – Amentore ricomincia a leggere - Ho dato l’incarico alla dottoressa Muschio.
- Qual è il quesito? – mormora Darlia, senza scostare le mani dagli occhi.
- Semplice. Partiamo dal presupposto che il biostimolatore del vecchio non funzionasse più, per cui lui era diventato un peso per Bonomia. Insomma, partiamo dalla tua tesi.
- Era così.
- Ottimo, ci credo, sai? Dunque, visto che c’è un quadro di atrofia cerebrale, le arterie non pompano più sangue con forza, giusto?
Darlia non risponde.
- Giusto – si conforta allora Amentore – In questo caso, i vasi arteriosi non pulsano, insomma, perdonami il paragone sacrilego, diventano come un fiume in secca, privo di energia, con il letto vuoto.
- I Maestri salvino sempre il Sacro Aposa – aggiunge subito dopo, solenne.
- Falla breve, per favore – geme Darlia.
- D’accordo. La sintesi è che se questi vasi sanguigni non pompano con vigore, se sono sgonfi, non possono scolpire solchi arteriosi sulla volta cranica. Parlo ovviamente di quelle arterie che scorrono alla superficie del cervello, a contatto con l’osso. Ci sei?
Silenzio.
- Ecco, senti, se il tuo vecchio era affetto da atrofia cerebrale con il biostimolatore fuso, allora non dovremmo trovare solchi cerebrali.
- Capisco. Se invece io ho falsificato tutto per avere crediti vita, e il biostimolatore funzionava, le arterie pompavano ancora sangue – Darlia scuote la testa – E ci dovrebbero essere i solchi.
Ma Amentore è assente, di nuovo intento a leggere il verbale di autopsia.
Il tempo si dilata, l’aria diventa viscosa nonostante il ventilatore e Darlia chiude gli occhi, cercando di fare il vuoto nella mente.
Il vecchio compare subito. Emerge tra le ombre del canale, sotto via Bellombra, il viso triste, pallido, i passi agili verso di lei.
Darlia apre gli occhi e sobbalza.
Di fronte a lei non c’è nessun fantasma, ma solo Amentore. Che la sta osservando.
- Nessun solco cerebrale – mormora – L’atrofia era reale.
- Lo so – replica Darlia e, senza permettersi di trascorre un solo minuto di più in quella poltrona, si alza ed esce.
Amentore non tenta di fermarla, non si muove nemmeno.
Solo gli occhi ritornano alla vetrata, lungo i profili dei grattacieli di Bonomia. Tremolanti d’afa.
***
Darlia ha controllato prima di scendere nei sotterranei.
Il suo turno è finito da ore e se qualcuno la scoprisse nei sacri luoghi dell’Aposa, senza autorizzazione, sarebbe dura giustificarsi. Anche se è il capitano del Presidio Religioso. Anche se è stata fecondata dal maresciallo capo e nel suo ventre crescono tre gemelli da offrire come cibo alla terra del fiume.
Ora è china lungo la sponda, le dita di una mano che sfiorano l’acqua senza osare immergersi. Eppure, la sensazione di fresco che sale lungo i polpastrelli è già appagante.
Darlia scruta il canale, le palpebre serrate nel buio.
Nessun cadavere di invalido sembra venirle incontro.
- Scusami – mormora – Ho dovuto farlo. Lo so che potevi vivere ancora, ma avevo bisogno dei tuoi crediti vita.
Con un gesto lento, Darlia si alza in piedi.
Questa volta ha rischiato grosso. Però si aspettava il sospetto di Amentore. Per questo, quando ha prelevato il vecchio, ha attivato il biostimolatore al massimo, fino ad esaurirlo. Fino a fargli bruciare il sangue nelle arterie, fino a cicatrizzarne i solchi cerebrali. Il risultato è stato un uomo senza più futuro, pieno di ricordi su una via antica e probabilmente mai vista. O forse mai esistita.
Un invalido assoluto affetto da atrofia cerebrale irreversibile. Con una parte dei crediti vita pronti a sommarsi a quelli di lei.
Darlia si incammina a testa china lungo il canale, verso il luogo dove è celato il suo segreto.
Un figlio non autorizzato. Un bambino che ha bisogno di cibo per sopravvivere.
Tra poco occorreranno altri crediti vita, riflette la donna, altri invalidi assoluti da eliminare. Dovrà muoversi con più cautela, lo sa, Amentore non è stupido.
Ma non sarà un maresciallo capo a fermarla. Nemmeno i Maestri potrebbero farlo. Per questo figlio illegittimo, per questo essere fragile nato da una notte di vera passione, continuerà ad uccidere. Fino a quando sarà necessario.
Darlia, capitano del Presidio Religioso di Bonomia, svanisce nei cunicoli bui dell’Aposa.
In superficie, una via bruciata, che un tempo si chiamava Bellombra, ne segue il percorso.

domenica 8 luglio 2007

dove scorre il fiume. la notte di Darlia.

dove scorre il fiume. la notte di Darlia.
di Giovanni Sicuranza

Darlia aspetta.
Sa che non può eccitarsi prima dell’uomo e per distrarsi cerca nel cerebrogramma un file di immagini deprimenti.
Come quelle statiche che ritraggono Bonomia prima della bomba alla zona Fiera, prima della Grande Religione. Quando ancora la città si chiamava Bologna.
La mente si riempie di case basse, tozze. Persino di pessimo gusto, con tutti quei colori diversi, con quelle appendici esterne.
Darlia sbatte le palpebre, veloce, una volta per uscire dal file, un’altra per tornare a vedere l’ambiente che la circonda.
- Come si chiamavano quelle cose sporgenti dalle abitazioni di Bologna?
- Cosa?
Amentore smette di bere, il bicchiere che si affloscia sul tavolo.
Guarda Darlia, in silenzio, cercando sorvolare in fretta sui profili della sua nudità.
- Le case della città vecchia – ripete lei, cogliendone lo sguardo perso.
Poi, visto che l’uomo non solo sembra ancora non capire, ma ha gli occhi dilatati sui suoi seni, con un dito disegna un quadrato nell’aria.
– Quelle brutte, fatte in questo modo. Non come i nostri grattacieli scuri. Dai, avevano quelle cose che sporgevano dalle mura, dove si prendeva il sole o si curavano le piante, insomma.
Finalmente un barlume di comprensione sembra accendere Amentore, che annuisce.
– Ah, sì, quelle sporgenze, dici. Terrazzi, ecco, terrazzi, così li chiamavano.
- Terrazzi – echeggia lei, come ad imprimere la parola nella mente.
- Sì, terrazzi – Amentore sbuffa - Ma ora fai la brava e lasciami bere questa brodaglia - solleva il bicchiere, piano, come se pesasse chili – Già il sapore è insopportabile. E mi tocca bere tutto.
Amentore tuffa lo sguardo nel liquido verde, denso.
Sa che ha un gusto dolciastro, al limite del rigetto, proprio per impedirne l’abuso. Perché questa bevanda non è altro che una forma di controllo obbligatoria, voluta dai Maestri del Presidio Religioso per controllare la sessualità dei cittadini.
Come tutti i maschi, all’adolescenza anche Amentore è stato operato. E da allora ha coaguli di silicio che ostruiscono i corpi cavernosi del pene e che solo questo liquido è in grado di sciogliere, almeno per un giorno.
Per ottenerlo, tuttavia, occorre un permesso.
Innanzitutto bisogna dimostrare di essere sposati, poi di avere intenzione di procreare. Ma, soprattutto, occorre documentare che non è possibile partecipare all’unico giorno di sesso concesso dai Maestri ogni anno.
Poi, c’è il placito speciale, quello riservato a persone come lui. E Darlia.
- Coraggio – sibila Amentore, gli occhi chiusi, il bicchiere che trema sulle labbra. E manda giù un sorso.
Da anni la Religione è tornata ai fasti dell’antichità. Anche oggi i Maestri del Culto hanno il potere sulla società e dirigono passo dopo passo la vita dei cittadini. I loro desideri. La libertà di scelta è sovversiva.
E Amentore è assolutamente d’accordo.
Per farsi forza, per riuscire a bere tutta la bevanda, pensa alle Grandi Motivazioni dei Maestri.
La libertà di scelta ha permesso ad un gruppo di fanatici di far esplodere una serie di bombe nei centri nevralgici della città, tanti anni prima. Così, in un soffio, Bologna è stata rasa al suolo, a cominciare dalla zona commerciale, quella che un tempo si chiamava Quartiere Fiera. Poi è toccato al Municipio. E gli uomini del potere non sapevano cosa fare.
Amentore inizia a sentire la temperatura che aumenta. Ma non si preoccupa, sa che questo è un effetto della bevanda. Il più è riuscire a berla ancora, senza vomitare. E allora pensa, pensa.
Smarriti, spaventati, i superstiti si erano appellati all’unica certezza rimasta. La Divinità. Da allora i Maestri del Culto sono diventati i governatori delle coscienze. Per mantenere l’ordine e vigilare sul rispetto dei dogmi, hanno creato i Presidi Religiosi, in ogni città. Bonomia ne ha tre, uno in centro, uno in collina. E uno nei canali sotterranei, il Centro Vitale, perché si trova dove scorre il fiume Aposa, dove c’è l’acqua di Bonomia. Bene prezioso inaridito da un sole che si dilata sempre più lungo le stagioni.
E lui, Amentore Cerisoni, è il maresciallo capo del Presidio Religioso dell’Aposa.
- Ci siamo?
L’uomo apre gli occhi e gira il viso verso Darlia. Vede che lei sorride.
- Sì, ci siamo. Stai diventando rosso.
- Bene – si compiace lui, le mani che iniziano ad aprire il velcro della divisa – Con tutta la fatica...
- E il rischio che corri – sorride lei.
Amentore si blocca.
- In che senso?
Darlia si mette a sedere sulla sponda del letto, le gambe aperte, incrociate, una caviglia sull’altra. Poi, appoggiandosi con le mani sul giaciglio, spinge indietro il busto. Solo un po’.
- Mi stai provocando? – ansima Amentore, sentendo la vampata di calore che scende e si gonfia, proprio lì, in mezzo.
- Sarebbe ora, no? – sussurra lei – Hai bevuto la bevanda e secondo la legge posso prendere l’iniziativa.
- Se non fosse perché io sono il maresciallo capo e tu il capitano … - inizia Amentore, le dita che adesso corrono a disfarsi della divisa.
- Sì, hai il permesso speciale. Quello di accoppiarti con tutte le donne della tua Milizia.
L’uomo si alza dalla sedia. Prima di avvicinarsi a Darlia, rimane immobile, a guardarsi l’erezione. È un evento così raro. E pericoloso.
Chi abusa della bevanda va incontro alla morte. Il sovradosaggio provoca una fibrillazione cardiaca. Ma è quello che succede durante ad essere terribile, pensa Amentore, senza smettere di osservare affascinato la sua virilità.
Quando la bevanda è eccessiva, o corpi cavernosi si gonfiano di sangue, in fretta, in abbondanza. Il pene si gonfia, ma non diventa duro. Le pareti restano molli. Fino a quando non iniziano a sudare sangue.
- Darlia – inizia, gli occhi che non abbandonano il suo nuovo profilo – Ti ricordi di quel cittadino che abbiamo trovato nell’Aposa? Quello con il pene esploso. È stato un anno fa.
- Cosa vuoi dire?
Lo sguardo di Amentore si solleva più rapido della sua erezione. Nella domanda del capitano ha intuito un tono sospettoso.
- Era per parlare – spiega, scrutando la donna – Si chiamava Ermete Dialogo, se non sbaglio – una pausa, gli occhi che penetrano quelli di lei – Gli hai fornito tu la bevanda erogena.
Darlia non ha altre esitazioni. Non ci sono rughe nuove sul suo viso, anzi, continua a sembrare rilassata.
- Certo, come faccio con tanti. Sono io che controllo i permessi e distribuisco le bevande. Quel Dialogo deve essersene fatta dare un’altra da qualcuno. Voleva strafare, ha bevuto due porzioni e …
Amentore la interrompe con un gesto brusco della mano.
- Sì, va bene. Quello che mi disturba è aver scoperto il suo corpo nella discarica. Tutte le impronte e i liquidi sul cadavere erano cancellati. Non siamo ancora riusciti a scoprire con chi ha fatto sesso illecito – conclude, scotendo la testa.
Per tutta risposta, Darlia si alza in piedi e si avvicina. I suoi gesti sono lenti, misurati, le mani dietro la nuca, il petto proteso verso l’uomo.
- Basta parlare di questo, ora. Domani continueremo le indagini – sussurra, la bocca che sfiora i capezzoli di lui.
Amentore chiude gli occhi e ascolta l’alito caldo della donna sulla pelle.
Un attimo dopo il tono roco di lei lo avvolge, un po’ più giù.
- Oggi abbiamo il permesso speciale per fare sesso – la voce scende ancora, verso il ventre – Sei il maresciallo capo. Devi fecondare le donne della tua Milizia.
Un pensiero improvviso, apparentemente fuori luogo, salta dentro Amentore.
Dai terrazzi delle case di Bologna, la città vecchia, a volte gettavano i bambini non voluti.
Fa per aprire la bocca, per raccontare a Darlia questo particolare.
Ma lei è più veloce ad aprire la sua, di bocca.
E questa volta Amentore Cerisoli, maresciallo capo del Presidio Religioso, dimentica la storia della sua città.
***
Darlia ha gli occhi appesi sui profili bui di Bonomia.
Dall’alto del grattacielo la vista si perde lungo le ombre della notte. Sono le tre, forse, ma lei sa che se spegnesse il condizionatore, ora, l’umidità sarebbe ancora così opprimente da farla svenire in pochi minuti.
Bonomia è una città che respira a fatica da tanti anni. Per questo l’Aposa, il fiume che scivola nei sotterranei, è tanto prezioso. Così prezioso che il terreno intorno ha bisogno di humus. Sempre. La carne degli animali è un ottimo concime. Come quella dell’uomo.
Darlia stringe le labbra. Le mani fanno lo stesso sulla vestaglia, celandole i seni riflessi sulla vetrata.
Amentore ha sparso il seme nel suo corpo e domani lei sarà sottoposta al trattamento di stimolazione, in modo da produrre almeno una coppia di gemelli. Poi partorirà, per Bonomia. Per la vita del fiume.
I suoi figli saranno consegnati al Centro della Fertilità.
Lì diventeranno humus che nutre l’Aposa.
È questa la condizione del permesso speciale per il sesso.
Ci sono molti pezzi di Amentore sparsi lungo il corso del fiume, avuti da tante donne negli anni.
Ora tocca a lei.
- I terrazzi – sospira Darlia alla solitudine dell’appartamento – Erano sporgenze sulle case donate alla città.
Come il seme che le sta già crescendo dentro, fino a diventare sporgenza di ventre e poi dono a Bonomia.
Gli occhi si riempiono di lacrime sopra un bisbiglio di sorriso.
L’unica cosa che la città ignora, che ignora persino il maresciallo capo, è che lei ha già un figlio.
Vivo.
Nascosto nei sotterranei.
Lo ha avuto pochi mesi prima, da un uomo scelto tra quelli che le chiedono la bevanda erogena.
Darlia inizia a vestirsi. Niente divisa, per non dare nell’occhio, ma la pistola d’ordinanza, quella sì, così come la lama elettrica d’emergenza. Avventurarsi di notte nelle viscere di Bonomia, lungo il sacro fiume dell’Aposa, è un grande rischio.
Ma suo figlio ha bisogno di essere nutrito.
Il padre, invece, non ha più bisogni.
È morto.
Ermete Dialogo aveva un malattia grave, che gli stava mangiando i neuroni. Questo le aveva raccontato il giorno in cui si era presentato per richiedere una porzione di bevanda. La terapia genetica era troppo costosa per un maestro che guadagnava solo cento crediti vita al mese. Insegnava storia classica, aveva aggiunto con un sorriso bello, ecco perché la medicina moderna non si curava di lui.
La sera dopo, Ermete l’aveva amata, dandole quello che lei desiderava.
E lei lo aveva amato, realizzando il suo ultimo desiderio. Morire dopo una notte di passione.
Darlia ha un fremito di pianto lungo il corpo.
Programma i sensori della casa per mantenere l’energia al minimo.
Le luci si smorzano. Tutto diventa silenzio.
Il capitano del Presidio Religioso si asciuga le ultime lacrime in un gesto rapido, poi, prima di uscire, guarda ancora una volta oltre la vetrata, in alto.
Tutto sommato non doveva essere male poter uscire su un terrazzo.
Nel fresco della notte, a scoprire le stelle.

martedì 3 luglio 2007

dove scorre il fiume. morte sull'Aposa.

dove scorre il fiume. morte sull'Aposa.
Giovanni Sicuranza

Corre, corre veloce oggi, come mai è riuscita a fare prima.
L’uomo la osserva, affascinato, perso tra le lame lucenti del sole che si innalzano dai suoi profili.
Con lo sguardo l’accompagna fino al masso, dove la vede aprirsi, come in oscena offerta, per poi avvolgerlo di bianca spuma.
E non può trattenersi dal sorridere, nonostante la peccaminosa similitudine.
Nonostante questo non sia il momento migliore per eccitarsi.
Ma l’acqua è impeto raro, d’estate come d’inverno, anche ora che le stagioni non hanno senso.
Però chiamarle ancora con il loro vecchio nome aiuta a elaborare il mito; non è quanto insegnano i Maestri?
L’uomo annuisce sui pensieri della Regola, poi muove un passo, attento a non violare l’Acqua con il suo corpo.
Lei così piena di vita, lei così imprevedibile.
Pura, anche se, dopo il masso, un altro oltraggio tenta di ostruirne la corsa. Un oltraggio ben più grave.
L’uomo si morde il labbro inferiore e socchiude gli occhi.
Vede tutta l’indignazione del fiume per questo nuovo ostacolo, immondo. Sente l’acqua ribollirgli intorno, le vibrazioni rabbiose della schiuma.
- Dobbiamo rimuoverlo, signore.
Amentore Cerisoni, maresciallo capo del Presidio Religioso, abbandona quelle immagini, infastidito.
Muove un altro passo, cauto, sulla sponda umida. Il confine tra il sacro dell’acqua e il profano degli uomini.
- Il bambino dov’è?
- Signore, credo che …
Amentore ha uno scatto verso la donna al suo fianco.
- Cosa – sibila, duro – Cosa c’è capitano Darlia. Cosa.
Lei abbassa lo sguardo, pronta.
Conosce gli spigoli del suo superiore e preferisce non continuare, non respirare nemmeno, se possibile.
E poi c’è il regolamento, chiaro. I gradi della Forza d’Ordine dei Presidi Religiosi sono da intendersi subordinati al sesso, per cui nella scala gerarchica la donna ha un potere inferiore rispetto all’uomo.
Sempre.
- Allora, capitano – insiste il maresciallo – Mi dica del bambino.
- Lo abbiamo trovato seduto sulla sponda, proprio lì, di fronte.
- Era nell’acqua? – si affretta a chiedere Amentore, anche se il tono è già pesante di angosce.
- No, signore – il capitano Darlia sospira, gli occhi ancora al suolo – Per fortuna non è stato necessario sopprimerlo – un altro sospiro – Ora è nell’avio. Lo abbiamo portato lì, perché lei potesse interrogarlo e perché – una pausa – perché …
Amentore segue lo sguardo del capitano, che si alza appena, fragile, fino ad incontrare l’ostacolo blasfemo adagiato nel letto del fiume.
Allora anche lui guarda. Guarda ancora le onde che scavalcano lievi quel cadavere d’anziano e si chiede quanto energia stia sprecando l’acqua.
Il fiume Aposa è sacro. Una rarità di vita.
- Maledizione – mormora, infastidito.
Ogni cittadino di Bonomia sa bene che non può immergersi senza permesso, pena l’annullamento della carta di credito-vita e la conseguente soppressione.
Non si può insudiciare l’acqua con il suo corpo, a maggior ragione è suicidarsi nel fiume è inconcepibile sacrilegio.
Amentore guarda il capitano che a sua volta guarda il cadavere dell’anziano, rivolto a faccia in su, gli occhi sbarrati sulla volta di pietra che racchiude l’Aposa nel suo lungo percorso sotto la città di Bonomia.
Uno sguardo velato dalle onde, e che comunque non potrà vedere nulla, mai più. Perché chi si getta nel fiume sacro perde anche l’Anima.
Amentore ha un sospiro spezzato, morso dalla rabbia.
Gira la testa verso il veicolo parcheggiato alle sue spalle e lo avvolge di rosso e verde. Tra i colori sprigionati dal led sulla fronte del maresciallo capo, l’avio sembra un inerme guscio d’uovo.
Il suo aspetto innocuo è stato voluto dai Maestri per non turbare i cittadini, ma in realtà questo modulo ovale è l’unico mezzo ad idrogeno in grado di scivolare agile tra i canali sotterranei di Bonomia.
Uno strumento indispensabile per il controllo del fiume.
E per la repressione.
- Vado a parlare con il bambino – mormora Amentore, più a se stesso che al capitano, mentre un pensiero emerge tra gli altri con il sapore amaro del sospetto, fino a quando la mente è inondata da una domanda e la domanda trascina con sé una risposta terribile.
Così terribile che il maresciallo capo si allontana senza nemmeno dare l’ordine di rimuovere il cadavere.
Il capitano Darlia ciondola su un piede, poi sull’altro. Osserva i miliziani del Presidio Religioso che si muovono stupiti intorno alla salma del vecchio, attenti a non violare il fiume, e si stringe le spalle. Non può fare nulla, adesso, se non attendere il ritorno del suo superiore.
In fondo, il capitano è solo una donna.
***
- Era tuo nonno, vero?
Amentore china lo sguardo sul profilo sottile del bambino, sulla sua parrucca bianca, senza fronzoli, modello base, d’obbligo alla nascita per tutti. Il Sole picchia duro da molti anni, le nuvole sono singhiozzi distratti nel cielo e la pioggia è un evento così raro da festeggiarsi nell’unico rito orgiastico concesso dai Maestri, ogni anno. È lì, solo in quell’occasione, che avviene il concepimento.
Per questo tutte le donne partoriscono nello stesso periodo.
Per questo chi nasce prima o dopo viene eliminato. Ma solo dopo la nascita, perché la barbara pratica dell’aborto è stato bandita da tempo.
I neonati sono abbandonati tra i rifiuti, o consegnati al Centro della Fertilità, dove vengono utilizzati nei campi per il concime. In questo caso, l’Autorità non punisce i genitori colpevoli.
Questo bambino, invece, è sopravvissuto ai suoi genitori.
Si chiama Esegido, ha dodici anni. E tace.
Amentore affonda gli occhi nelle sue guance scavate, poi sale sulla pupilla nera e la scopre smarrita, chissà dove.
- So che era tuo nonno, Esegidio – decide di continuare – Come so che tua madre e tuo padre sono stati giustiziati perché avevano violato il fiume. Li avevano trovati mentre si bagnavano nelle acque dell’Aposa.
Il bambino non si muove.
L’uomo, che si aspettava una sua reazione, sbuffa, infastidito.
- Ma questo lo sai anche tu.
Esegidio è un lungo ostinato silenzio.
- Allora ti racconto un’altra delle cose che certamente sai. Prima della bomba, questa città si chiamava Bologna. L’Aposa scorreva dimenticato sotto le sue mura. I cittadini non lo ascoltavano. Poi fecero esplodere il Centro della Fiera, il nodo commerciale della città. E il Municipio, dove c’era un’autorità che si chiamava sindaco. I Maestri dicono che sono stati i fanatici dell’altra religione. E se lo dicono loro, è così.
Amentore lascia che una pausa spezzi le sue parole. Esegidio avrà anche lo sguardo lontano, ma le orecchie sono lì, al suo fianco, e sta a lui scuoterle.
- Nello stesso periodo arrivò la siccità. Una cappa di caldo umido che impediva il respiro e che diventava sempre più violenta man mano che passavano le stagioni. Una dopo l’altra, estate, inverno, autunno, senza significato, i giorni sempre uguali, sempre caldi. Sempre umidi.
- Ci hanno salvato i Maestri della Religione.
La voce del bambino, improvvisa, distante, fa’ sobbalzare il maresciallo capo. Gli occhi del piccolo sono ancora in un luogo inaccessibile, ma finalmente eccolo, eccolo qui il prezioso testimone.
- Ah, bene – Amentore si china su Esegidio, appena, un sussurro – E poi?
- Poi il Culto è diventato lo Stato. In tutta Italia. Bologna è diventata Bonomia. E l’Aposa il dono divino, con la sua acqua che scorre fresca nei sotterranei, al riparo dal sole – continua il bambino, monotono.
Ma l’uomo non si scoraggia.
- Bravo. Vedi, allora, capisci. Capisci che non possiamo permettere che l’acqua venga contaminata.
Esegidio annuisce, lentamente. Senza attenzione.
Amentore allora cambia discorso, per entrare in un luogo lontano dall’indottrinamento ufficiale. Un luogo più personale, pieno di emozioni.
- I tuoi genitori hanno violato la Regola – un dito si solleva ad indicare oltre il parabrezza dell’avio - E tuo nonno è laggiù, nell’acqua.
- Nonno Familio – una lacrima nascosta si gonfia sul viso immobile del piccolo – mio nonno è morto –il petto magro sussulta, solo un istante.
Ma per Amentore è una vittoria. Una vittoria annunciata ancora una volta da un segno d’acqua. Dal pianto.
- Eravate seduti sulla sponda, vero?
Sì, annuisce Esegidio, il volto che appassisce sul torace.
- Immagino che stavate pensando ai tuoi genitori.
Sì, ripete con la testa il bambino, mentre un’altra lacrima ne incrina il silenzio.
- I tuoi genitori che sono stati sbriciolati per diventare humus. Scommetto che sapevate bene quanto siano importanti i corpi per la nostra terra arida. Per questo le tombe dei condannati sono lapidi vuote, che riempiono i portici di Bonomia, dal centro fino alla collina. Lapide dopo lapide, una fila che si snoda sulle foto dei giustiziati, senza date, senza nome, solo il reato inciso sul marmo – Amentore si china un po’ di più sul bambino, fino a sfiorarne l’orecchio – Facciamo lo stesso con i neonati illegali, lo sai.
Esegidio lo delude. Non si ritrae, non ha nemmeno una crisi di pianto. Rimane immobile, seduto. Gli occhi umidi, ma ancora irraggiungibili.
Amentore socchiude le palpebre.
- Però tuo nonno non si è ucciso da solo – sussurra, le labbra che ora lambiscono l’orecchio del bambino.
E lo scatto di Esegidio è un’altra vittoria.
Mentre il piccolo gira il volto dalla parte opposta, mentre il suo petto diventa rapida successione di singhiozzi, il maresciallo capo del Presidio Religioso ha la conferma del suo sospetto.
Il corpo del vecchio è rannicchiato nell’acqua.
I gomiti e le ginocchia non sono distesi, come si aspetterebbe da un annegato, ma chiusi, nella posizione di un pugile.
Come accade ai carbonizzati.
E la scia nera che ne avvolge il collo e i polsi è il lugubre ornamento dei suoi sospetti.
- Tuo nonno soffriva di sclerosi multipla – mormora l’uomo al bambino. Ma ora è lui ad avere lo sguardo perso, oltre il parabrezza, e in realtà sembra più rivolgersi a se stesso - Gli hanno inserito il biostimolatore nel cervello per permettergli una vita normale. Quell’apparecchio è un fenomeno, in effetti. Ho visto persone paralizzate ricominciare a correre come cavalli, sai, quegli animali estinti che si vedono negli ologrammi.
Amentore sfiora con gli occhi Esegidio, sottile corpo rannicchiato sul sedile, poi torna a vagare oltre il parabrezza. Nella penombra del sotterraneo vede che i miliziani sono ancora radunati lungo l’Aposa, dove c’è il vecchio.
Solo allora si rammenta che il suo corpo è ancora lì, ad imputridire le acque. E che l’ordine di spostarlo spetta a lui.
- Insomma, te la faccio breve. L’unico difetto del biostimolatore è che in presenza di acqua, anzi, no, di umido, solo di umido, si blocca. Che poi quello che voi cittadini considerate un difetto, per noi è un motivo in più, voluto, per spingere la gente a stare lontana dal fiume.
Amentore si interrompe, infila una mano nella tasca della divisa, lo sguardo sempre sulla scena del sopralluogo. Continua solo quando avverte il freddo del metallo.
- Quindi, quando vi siete seduti sulla sponda umida, tuo nonno si è paralizzato. Per forza.
Il suono che esce dalle labbra serrate di Esegidio lo stupisce. D’istinto, la mano si stringe intorno al metallo.
Il verso si apre un altro varco, simile a un muggito d’onde che tentano di infrangere la barriera di labbra e dolore del bambino.
Poi, la diga del silenzio cede.
- Nonno Familio diceva che papà e mamma erano stati uccisi per nutrire la terra, per renderla più fertile con i loro corpi bruciati – le parole si spezzano sotto l’ondata delle lacrime.
Il maresciallo capo sospira, annuisce. E attende.
- Diceva che l’Aposa è di tutti, perché lambisce la terra dove si trovano i corpi di tutti. Che nelle sue acque ci sono anche i miei genitori. E che se ne sarebbe andato solo così, affogato nel fiume. Nel suo fiume. Nel fiume della nostra famiglia.
Amentore scrolla la testa, piano.
Quanto occorrerà ancora per educare i cittadini all’obbedienza del sacro?
- Lo hai spinto in acqua? – chiede, delicato, un soffio senza rimprovero.
Finalmente gli occhi grandi e neri del bambino salgono ai suoi.
Quanta acqua c’è là dentro, in quel pianto.
- Mi dispiace – geme il piccolo – Mi dispiace.
- Anche a me – echeggia l’uomo – Davvero tanto.
E con un gesto rapido, estrae la lama e l’affonda nella gola del bambino.
Esegidio si accascia senza lamenti. Smette persino di piangere.
Amentore Cerisoni, maresciallo capo del Presidio Religioso di Bonomia, città del fiume Aposa, chiude gli occhi e rimane seduto accanto a quella giovane morte.
Fin quando non avverte il sangue scorrere sul sedile, lento, a lambirgli le cosce.
Come un fiume caldo.

ecce homo interrogans

ecce homo interrogans
di Giovanni Sicuranza

Così come molti non possono concepire come
io sia indifferente verso il calcio, i motori

così come io sia respiro esalato contro
dogmi e tabù che chiedono sorrisi
stampati su sguardi ciechi

Così

Perché, forse, l'amplesso più appagante è tra rosso e nero, tra croce e mezzaluna
sotto il cielo laico, tra jazz e rap, tra pietra e piuma

Così come il sesso è una scoperta continua ed inaspettata di intenso ritmo blues

Così come io non assaporo ipotetiche amicizie ma annuso
distratto e attento intuizioni di sensualità

E tu, hai mai ascoltato odori?