venerdì 8 giugno 2007

la mano

la mano di Giovanni Sicuranza

E’ la mano.
L’uomo la fissa attraverso i riflessi dei lampioni, oltre le barre della serranda.
Lo fa’ ad ogni crepuscolo, quando esce dal lavoro.
Pochi passi, l’attimo di una luce artificiale che si accende sulla strada affollata da ombre, e lui è già lì, davanti alla libreria.
E ogni volta non può fare a meno di fermarsi.
Quella mano, pensa, mentre i suoi occhi ne accarezzano i particolari.
La grafica del libro esposto in vetrina è semplice, un nero assoluto da cui emergono due figure stilizzate.
Ma quella mano.
È disegnata con ricerca di particolari, le pieghe della pelle che affondano e riemergono e ancora affondano e poi si ritrovano senza mai perdersi, i promontori delle articolazioni accentuati dalla muscolatura tesa.
Così tesa da rendere la mano viva. Inquietante. Più della roncola che stringe e che cala sul viso della vittima.
L’uomo si ferma, smarrito, anche se la stanchezza del lavoro lo veste pesante e monotona, anche se il bar è proprio dall’altra parte della strada, piacevole abitudine in cui trovare rifugio prima della solitudine di una casa silenziosa.
E ogni volta si rammarica che la libreria sia già chiusa, perché vorrebbe entrare e chiedere spiegazioni su quella copertina e sfogliare quel libro strano, senza nemmeno il titolo o il nome dell’autore.
Solo un nero totale in cui un uomo privo di lineamenti sovrasta una bambina con un volto appena sfumato, il braccio alzato nel gesto di colpire. E alla fine del braccio, una mano così dettagliata da mostrare la rabbia con cui la roncola calerà sul volto di lei.
Una mano che ogni giorno si muove, sempre più vicino alla vittima.
***
- Chi è morto?
L’uomo ha un sussulto, torna con la mente al presente e con gli occhi sul barista. Antonio lo sta fissando con il suo solito sguardo, sottile e ironico, come se la vita dei clienti fosse una farsa di cui lui è compiaciuto spettatore, le palpebre appena sollevate su occhi neri. Neri e profondi, come
- C’è la copertina di un libro – mormora l’uomo, gli occhi che tornano a galleggiare nel bicchiere tra le mani – No, niente – si perde in un lungo sorso che inonda la gola di rhum.
- Beh, un’aria da funerale per un libro mi sembra un tanto eccessiva – insiste Antonio, sporgendosi sul bancone – Senti, Gerardo, sono giorni che te ne stai qui – gli occhi neri si spostano veloci sulle penombre sedute nell’angolo più lontano del bar e tornano subito all’uomo – Non parli con nessuno, nemmeno con i tuoi amici.
- Non sono miei amici – obietta Gerardo, lo sguardo ancora chino sul bicchiere vuoto – Non ho amici, lo sai.
- Ma con me parli.
Silenzio. Un sospiro, breve, poi Gerardo scuote la testa.
- D’accordo, a volte con me parli – concede il barista – È che, sai, inizio un po’ a preoccuparmi. Vieni qui, ordini il tuo solito bicchiere, ma non ti unisci più al gruppo, no, rimani al bancone e, insomma, rimani per modo di dire.
Gerardo solleva gli occhi, lento, con tanta fatica. Antonio è ancora più vicino a lui, ancora un po’ di più, come la mano di quel libro.
- Oh, guarda che non sto dicendo che mi dai fastidio. Solo che sono preoccupato, ecco. Ti conosco da un anno, ti vedo praticamente tutte le sere, ma mai con tutto questo silenzio e la mente che gironzola chissà dove.
Gerardo apre la bocca. E subito la richiude.
Antonio esita un istante, quindi si solleva sulla schiena, le braccia incrociate sul petto, gli occhi ancora neri e profondi, ma finalmente più distanti.
- D’accordo, come non detto.
- Vado a casa – annuncia Gerardo, con tono lontano.
- Dormi bene – lo saluta Antonio.
Gli occhi si incontrano, un solo istante, e Gerardo scopre che il barista non ha nemmeno attenuato la sua espressione ironica.
Nonostante le parole di comprensione, in realtà nulla è cambiato, nulla si è mosso, pensa mentre esce dal locale e con lo sguardo attraversa la strada fino a sfiorare la libreria. Alza il bavero del cappotto nero e si incammina lungo le penombre della via, cercando di non pensare a quella mano in copertina, quella mano che, invece sì, ogni giorno si muove un po’ di più verso il volto della vittima.
***
Sono passati altri tre giorni, almeno così crede Gerardo, che ormai vive come in un sogno, incurante del suo lavoro, privo di una vita sociale, e che conta il passare del tempo dalla distanza tra la mano e la bambina.
Ogni volta, nel silenzio della città che si accinge a cenare, si è fermato davanti alla libreria chiusa, il respiro sospeso sul disegno della mano piena di rabbia e roncola. Ogni volta ha scoperto che la lama si è avvicinata alla sua vittima. Ogni volta è entrato nel bar pieno di domande e dubbi sul suo equilibrio mentale e ogni volta avrebbe voluto confidarsi con Antonio, ma quel suo sguardo divertito lo ha bloccato.
Fino a stasera.
Uscito dal lavoro, ha improvvisamente capito che è meglio allungare il passo, perché se si ferma ancora davanti alla vetrina corre davvero il rischio di non capire più dov’è la realtà e non è certo di questo che ha bisogno un uomo solo e insoddisfatto.
Con un balzo ha attraversato la strada, incurante delle auto, ed è entrato nel bar, leggero.
Racconterò tutto ad Antonio e agli altri, ha pensato mentre apriva la porta con un sorriso, così ci rideremo tutti sopra.
O andremo tutti a controllare se il disegno si muove davvero, gli ha suggerito una vocina, così fuori luogo e inaspettata da bloccarlo proprio sull’uscio.
Ed ora è fotografato così, immobile, la porta che tenta di chiudersi appoggiandosi alle sue spalle. Gli sguardi del barista e degli avventori fissi su di lui. Grandi, neri. E tutto intorno silenzio.
- Cosa – riesce a balbettare Gerardo, ascoltando la sua voce come se provenisse da un altro, le gambe molli, che lo supplicano di lasciarsi cadere al suolo – Cosa c’è?
- Non hai sentito la notizia?
Forse ha parlato Antonio, forse uno degli altri, il bar è così debolmente illuminato e sono tutti raggruppati che è difficile capirlo, oppure è solo lui che vede la scena come filtrata da un velo di nebbia.
- Quale notizia? – si sente chiedere a sua volta.
- Dai, entra Gerardo – questa sì, la riconosce, è la voce del barista – Vieni a bere un goccio con noi. Mi sa che ne abbiamo bisogno tutti.
- Quale notizia? – si sente chiedere ancora lui, il cuore che inizia a saltare senza che ne capisca il motivo.
- Ma dai, va bene che sei sempre chiuso al lavoro, ma c’era su tutti i telegiornali e alla radio e
- Quale notizia?
Una pausa, breve, nella penombra del locale.
- Quel bastardo – mormora allora una voce - Credevamo fosse finita.
- E invece è tornato – si aggiunge un’altra, con slancio, rabbiosa.
- Sì – le fanno eco altre parole, più fragili, piene di timore – Il maniaco che ha già ucciso quel bambino, tempo fa’, ricordi? Questa notte ha colpito ancora.
- Hanno trovato una bambina, vicino al parco.
- Solo otto anni.
- Maledetto.
- Le ha spaccato il cranio in due.
- Maledetto.
- Secondo me ha usato una
Gerardo è un balzo che riempie ogni fibra. Il cuore frenetico, i pensieri che urlano, le gambe che vorrebbero ancora cedere e invece lo stanno lanciando verso la libreria.
- Gerardo! – sente la voce di Antonio alle sue spalle, o almeno crede sia la sua, perché proviene da chilometri e chilometri dietro l’angoscia che esplode non appena raggiunge la vetrina.
Il libro è ancora lì, in bella mostra nonostante l’anonimato dell’autore, del titolo, della casa editrice. Ma ora il nero della copertina e solo un accenno sovrastato da rosso. Rosso ovunque, mentre la mano dell’uomo è calata sulla bambina.
E la lama le attraversa il cranio.
***
Il giorno dopo scorre lento nel silenzio.
Gerardo ha telefonato al lavoro e ha lasciato un messaggio.
Sto male, ha bofonchiato, forse ho mangiato qualcosa andato a male.
Del resto, anche gli sballinati possono avere crisi di nausea e diarrea, no? si chiede mentre si gira e rigira nel letto umido di sudore.
Ma le pareti della stanza non hanno risposta. Come durante la notte insonne non hanno saputo suggerirgli cosa fare. Raccontare del libro ad Antonio, affrontare il libraio, andare alla polizia.
- No – geme Gerardo, il volto che affonda nel cuscino macchiato.
E chi potrebbe credere ad una storia così assurda?
Un libro che annuncia il prossimo omicidio, una copertina che si muove fino al delitto e poi, poi
Con uno scatto, Gerardo si solleva a sedere.
Se quel maniaco ha intenzione di colpire ancora, il libro lo starà già anticipando.
- Forse oggi l’uomo in copertina ha già la mano armata sulla prossima vittima – sussurra alla stanza.
Lo sguardo corre sulle pareti spoglie, fino ad incontrare la libreria. E lì esita, con un brivido, scivolando su tutti i libri che la affollano.
- Ma se non sono andato fuori di testa, se quello che ho visto è reale, come mai solo io mi sono accorto della copertina? – domanda ad alta voce e nello stesso tempo già intuisce la risposta.
- Perché pochi leggono. Pochi si fermano a guardare davvero la vetrina di una libreria.
Con il loro silenzio, tutti i suoi libri sembrano dargli ragione.
***
Passi veloci che colpiscono il marciapiede, che scattano al semaforo, anche quando non hanno nessuna precedenza.
Gerardo ha gettato pigiama, stupore e paura alle sue spalle, è uscito di casa ed ora ha un cammino rapido verso la libreria.
Ha deciso. Deve sapere se il libro è ancora esposto in vetrina, se la copertina è cambiata, e come. Poi entrerà con la scusa di cercare un volume qualsiasi, giusto per scoprire chi è il libraio, ed uscirà dal negozio con aria indifferente, per rifugiarsi nel bar. Il resto del pomeriggio lo trascorrerà a scrutare i movimenti all’interno della libreria.
Gerardo affonda una mano nella tasca del cappotto e sorride quando sente il freddo del metallo.
Poi, quando il proprietario chiuderà la serranda, lui entrerà in azione.
Da questa sera in poi, ogni volta, fotograferà la copertina del libro, in ogni particolare. E se i suoi sospetti sono giusti, poco prima che la mano dell’uomo cali sulla nuova vittima, avrà una storia assurda da raccontare ad Antonio. E alla polizia.
Gerardo annuisce alla città, soddisfatto.
Una storia assurda, certo, ma documentata.
L’angolo che sta superando è l’ultimo.
E all’incrocio Gerardo si spegne.
Da un lato la libreria, dall’altro il bar.
Ora che la scorge di nuovo, tutta l’angoscia provata torna a riempirgli il respiro. Forse la sta facendo troppo facile, o forse il libro non c’è più, oppure
- Oppure se lasci perdere, diventi davvero matto – si rimprovera – Cosa temi? Sei solo un lettore curioso che entra in una libreria e poi trascorre il resto della giornata dal suo amico barista – deglutisce, mentre l’angoscia tenta di arrampicarsi in gola – Forza, passerai inosservato.
E almeno le gambe sembrano credergli, perché, anche se la mente è un turbinio di panico, in qualche modo ricomincia a muoversi. Verso la libreria.
***
La vetrina è spenta. La serranda abbassata.
Gerardo ha un lungo sospiro, non sa se di delusione o sollievo. Probabilmente entrambe le emozioni cercano di prevaricare, ma al momento solo gli occhi sono frenetici nella ricerca del libro. Che non c’è più.
- Che bastardo – mormora Gerardo, la mano ancora in tasca, chiusa sul metallo della macchina fotografica. Si sposta verso l’ingresso, tentando di scrutare all’interno, e ha un balzo quando dal buio del locale si materializza una figura blu.
Allontanati, gli urla l’angoscia. Ma lui è ancora paralizzato dallo stupore e poi.
Sbatte le palpebre una volta, due, tre. Sì, la persona dall’altra parte gli sta sorridendo, in un modo così ampio e spontaneo, che Gerardo non può fare a meno di ricambiare e sentirsi sollevato. Così, mentre ascolta il raspare delle chiavi nella serratura e vede la porta aprirsi, ha di nuovo deciso che il suo piano può proseguire.
- Salve – saluta, cordiale.
- Buonasera – la donna vestita con una divisa blu sembra invece stupita, anche se non ha abbandonato il sorriso – Non mi aspettavo nessuno fino a domani, per questo me la sono presa comoda.
- Davvero? – butta lì Gerardo, attento solo a non incrinare l’atmosfera serena, anche se non capisce il senso di quella frase.
- Certo – la donna gli da le spalle – Comunque qui è tutto a posto. Vado al piano di sotto, dove ci sarà più roba da pulire.
E senza dare tempo a Gerardo di replicare, si incammina zoppicando verso l’oscurità della libreria.
L’uomo rimane immobile, guardandosi intorno. Credenze di libri straripano ovunque in un ambiente piccolo, illuminato da un debole neon che scorre lungo tutto il soffitto come una vena gonfia. Odore di chiuso. E di libri.
Per un istante Gerardo non può fare a meno di chiudere gli occhi.
Ha riconosciuto l’odore compagno dell’infanzia e degli anni successivi. Il sapore dei lunghi periodi di solitudine immersi nella lettura.
Poi, ricordandosi per quale motivo si trova in quel posto, riprende il controllo del presente e si muove, piano, verso il bancone centrale.
La donna sembra essere un sogno svanito, senza più forma, odore, suono. Ma ora non è questo che importa.
Eccolo lì, il libro, adagiato sulla scrivania dove probabilmente il libraio passa il tempo e conclude le vendite.
Ancora uno sguardo che vaga tra gli angoli in penombra per sincerarsi che nessuno lo stia osservando, quindi Gerardo si porta davanti al libro. Si aspettava la scena, ma è ugualmente preda di un’altra artigliata di angoscia.
La copertina, di nuovo nera. Al centro un unico disegno, semplice, un bambino sormontato da un uomo. Solo la mano di quest’ultimo emerge con tutta la violenza dei particolari. I tendini tesi, la muscolatura gonfia nella chiusura a pugno. E la roncola che spunta, ancora lontana dal viso del bimbo.
- Che bastardo – sussurra Gerardo e subito serra le labbra, gli occhi che corrono ovunque, dilatati, quando ascolta le sue parole amplificarsi in un eco tra le penombre della libreria.
Rimane così, in silenzio, per un istante lungo come tutta la paura che scivola nel corpo, poi butta fuori l’aria e veloce ne assorbe altra, viziata, stantia.
Quando finalmente il respiro diventa regolare, si decide.
Con la mano che trema, prende il libro e lo osserva.
Nulla, nemmeno sul retro, nemmeno sulla costa. Solo nero, nero ovunque in attesa dell’omicidio in copertina.
Allora lo apre, cauto, e inizia a leggere le prime righe.
- Cazzo.
Lo stupore è così grande che Gerardo non si cura più dell’eco delle parole.
- Cazzo – ripete, più forte, e getta il libro sulla scrivania.
Il tonfo è solitario, assoluto, tanto da diventare un’esplosione nelle sue orecchie. Ma nemmeno questo interessa a Gerardo, diventato un’anarchia affannosa di respiro e sudore.
Quelle righe gli hanno mostrato una grafia ordinata, meticolosa. E la descrizione di organi smembrati.
Ed ora che il libro giace aperto sotto i suoi occhi, vede altre pagine violate da inchiostro rosso e, sotto, altre ancora bianche.
Da riempire.
- Signor Filigrana – esita una voce alle sue spalle.
Gerardo si volta di scatto, la mano che corre alla macchina fotografica nella tasca, pronto a brandirla come arma.
Ma la donna che gli ha aperto la porta sembra più spaventata di lui.
- Sta bene, signor Filigrana? – ripete con un tono ancora più allarmato.
Gerardo apre la bocca e la richiude.
Come conosce il mio cognome?, sta per chiederle, ma all’improvviso alla sua mente arrivano tutti i ricordi.
Barcolla ed è costretto ad appoggiarsi alla scrivania per non cadere.
- Signor Filigrana – lo rincorre la voce della donna, che in realtà si guarda bene da avvicinarsi – Non doveva venire al lavoro oggi. Sta male, ho sentito il suo messaggio nella segreteria e ho pensato che fosse rivolto a me per darmi tutto il tempo per pulire.
Gerardo non la guarda, non le risponde nemmeno.
Chiude gli occhi e cerca di ritrovarsi.
Quel senso di inquietudine, di vivere tutto attraverso una nebbia. Di non ricordare gli avvenimenti della giornata.
Di essere, ecco, sì, di essere smarrito.
La libreria era sempre chiusa quando usciva dal lavoro, perché lui stesso la chiudeva.
- Vuole che chiami aiuto? – tenta ancora la donna delle pulizie.
Gerardo Filigrana scuote la testa.
- Sono io che chiedevo aiuto. A me stesso.
- Come?
Senza sollevare lo sguardo, l’uomo indica l’uscita.
- Per oggi può andare, la ringrazio di tutto.
- Oh, beh – la donna esita – D’accordo, buona serata – saluta senza nascondere il suo disappunto.
Gerardo la ascolta allontanarsi con passi veloci.
Quando sente la porta che si chiude, rimane fermo, il capo chino, gli occhi chiusi, una mano appoggiata alla scrivania, l’altra ancora nella tasca.
Una parte di lui stava cercando di difenderlo dagli omicidi, per questo aveva rimosso tutto.
Ma l’altra parte ancora resisteva e gli aveva lasciato un segnale per ricordare.
Il libro in vetrina. Con una copertina modificata solo un po’, giorno dopo giorno, nel tentativo di non fargli saltare l’appuntamento con la vittima.
- Con quei piccoli bastardi – si corregge nell’eco della libreria – Quelle pesti che passano la loro infanzia senza leggere.
Ecco perché vanno puniti ed eliminati. Come possono crescere senza letture?
- Incollati ai video giochi. Deviati. Ecco come – si risponde ancora, a voce più alta e decisa, mentre riprende il controllo di se stesso.
Della sua missione.
Allora apre gli occhi e solleva lo sguardo a tutti quei libri invenduti che lo osservano da anni e secoli di silenzi.
Quando estrae la mano dalla tasca, trova naturale stringere non una macchina fotografica, ma una roncola insanguinata.
Sorride, si siede alla scrivania, e prende il libro.
Lo osserva ancora un attimo, poi, con un appagante senso di tranquillità, inizia a modificare il disegno della copertina.

Nessun commento: