domenica 10 giugno 2007

osservazioni su una risposta al manifesto laico

osservazioni in merito ad una risposta al manifesto laico
Giovanni Sicuranza

Vorrei precisare alcuni concetti espressi nel mio primo tentativo di un manifesto della laicità.
Intanto, ribadisco ancora una volta che una delle caratteristiche del manifesto stesso è la dinamicità, che si ottiene da confronti, critiche, revisioni tra menti dialoganti.
A questo proposito apprezzo molto l’intervento di SD (in sigla per rispetto delle generalità), ben mirato e con interessanti spunti, oltre che ricco di riferimenti culturali e di pensiero degni di questi nomi. Non sono diplomatico, conosco abbastanza l’autore da stimarlo davvero e da ritenere il dibattito già ricco per il suo intervento. Anzi, con il suo permesso, la sua risposta al manifesto potrebbe anche fare parte del manifesto stesso.

Ecco comunque le mie riflessioni, già in essere nei miei precedenti scritti.
SD asserisce nella sua risposta: “In primo luogo non condivido l'opinione che i progressi della scienza e del sapere abbiano come presupposto la capacità e la necessità di infrangere dogmi e tabù; la scienza non ha altro scopo che la scienza. Non è un gioco di parole. Le migliori scoperte sono quelle prodotte dalla "ricerca pura"”.

Vero, ma il presupposto (ciò che si deve intendere come premessa di qualcosa) è diverso dallo scopo (il fine a cui si tende), con il quale comunque concordo: fine della scienza è la scienza, o, a mio avviso, ancora meglio, la conoscenza.
Nel mio manifesto, a premessa, scrivo che “i progressi del sapere e della scienza, l’evoluzione del pensiero umano, sociale ed individuale, hanno come presupposto la capacità e la necessità di superare, fino ad infrangere, dogmi e tabù soprattutto di carattere socio-religioso”.
Con questo intendo riferirmi alla capacità individuale di pensare con la propria mente alla ricerca di nuove verità (fallaci, temporanee, applicabili come spinta di nuove idee o già nel concreto del progresso dal sapere), che, come ben si sa, hanno spesso dovuto soffiare forte contro le solide mura di Verità dogmatiche. Si pensi solo agli esempi più famosi, e su cui non voglio dilungarmi, Giordano Bruno e Galileo Galilei. Si pensi al Leonardo detto da Vinci, eroe luciferino (aggettivo qui inteso, a scanso di equivoci, nella antica concezione pre-veterotestamentaria, ovvero di chi porta la luce).
Ma senza arrivare ai pur numerosi scontri tragici con la Chiesa, sempre in ogni scoperta, anche accidentale, l’uomo si trova a dialogare con mente libera, acuta, che non si ferma sugli ipse dixit, ma anzi va oltre, a rischio di incomprensioni e roghi, concreti o mediatici che siano, fino a precorre i tempi. Penso ad esempio ad Ignac Semmelweis; aveva intuito la causa della mortalità della febbre puerperale, di impressionante frequenza, nella mancata igiene dei suoi colleghi e, dunque, aperto le porte alla teoria dei germi prima dei germi. Fu linciato moralmente, senza riscontri, perché così non poteva essere.
Come il più grande cimitero del mondo, la storia è disseminata di menti che hanno dato una svolta in ogni campo della conoscenza al prezzo di dovere infrangere tabù. E quasi sempre, almeno nel mondo occidentale, il tabù era sancito e sigillato dalla Chiesa e dai suoi accoliti e simpatizzanti temporali.

E qui arrivo alla seconda osservazione di SD. Lo scetticismo in merito all’immortalità del pensiero.
Nulla da ridire sui suoi validi esempi, ma forse lui sta guardando in alto, mentre io mi riferisco anche al basso. Ho citato l’immortalità del pensiero, comunque poi più ampiamente ripresa non da me, ma da altra autrice (di cui condivido il pensiero espresso in merito e che colgo l’occasione di ringraziare per essere stata, almeno una volta, meno irruente del solito) nel secondo spunto, è vero. Ma un pensiero diventa immortale anche nel quotidiano, non solo per un’opera di grande respiro, ma per gesti “banali”, come il regalo di un vaso, che, agli occhi di chi lo ha ricevuto, può sopravvivere alla morte del soggetto, così come nella memoria di chi è stato testimone, anche orale, di quel gesto. Non è il vaso in se, magari privo di valore, a dare immortalità, ma il gesto con cui l’individuo lo ha donato.
Esempio rivolto a SD: pubblicando la tua risposta al mio manifesto (risposta che ho stampato), ti sei reso immortale ai miei occhi ogni volta che il foglio ci sarà, o a quelli di un mio ipotetico figlio quando saprà di questo confronto nel totem della narrazione e ritroverà il foglio (d’accordo, ora eseguirò anche i gesti scaramantico-religiosi di rito).
Non voglio entrare troppo nel filosofico, e penso che le sfumature per interpretare queste frasi siano davvero tante, ma ritengo davvero che, in un’ottica laica, e soprattutto atea, pensare a queste nostre quotidiane forme di immortalità (oltre alla più potente discendenza del DNA), potrebbe allontanare un po’ di angoscia di morte dall’uomo e, quindi, in parte, anche di bisogno di religione (ancora una volta condivido la tesi di calibra, anche se ritengo che i motivi per cui nascono le religioni vanno ricercati sì nella paura irrisolta della morte, ma non solo).

Per quanto riguarda una terza osservazione espressa nella “possibile risposta”, ribadisco innanzitutto che, come già ho avuto modo di precisare, a mio avviso in una società laica rimane comunque ancora spazio per il senso religioso (di qualunque religione, mono o politeista che sia) sia del singolo, sia della collettività (vd. “tolleranza laica” nel terzo spunto del manifesto).
Quello che credo non si dovrebbe tollerare (con buona pace di Voltaire o, chissà, forse con un suo accordo postumo) è che un’istituzione religiosa (di qualunque tipo, che non sempre tra l’altro coincide con la religione, almeno come espressa nei primi insegnamenti; vedi il cristianesimo, già “distorto” dai primi padri) cerchi di influenzare orientamenti sociali, politici e mediatici.
Pertanto, scopo del manifesto non è costituire un’assemblea di laici, ma, ipo o ipertroficamente, dare spunti di riflessione per suggerire un’ipotesi di società finalmente laica non solo nelle intenzioni.
Sulla necessità, a mio avviso attuale, di scrivere anche manifesti laici, mi limito a riportare quanto scritto in quarta di copertina dell’interessante ed acuto saggio di Giulio Giorello “Di nessuna chiesa – La libertà del laico”, Raffaello Cortina Editore: “Uno spettro si aggira per l’Europa; il relativismo, cioè il dogma che non c’è nessun dogma. Chierici e laici hanno stretto una santa alleanza in nome dei nostri valori e delle nostre radici. Forse non sanno che dietro quel fantasma ci sono il corpo dell’individuo, la libertà della ricerca, le garanzie dei diritti e la stessa genuità della fede. Tutto cancellato … Affatto, se il laico ha non solo la volontà di reagire, ma anche la forza di attaccare. Non questa o quella chiesa, ma la presunzione di infallibilità che può viziare qualsiasi istituzione o comunità, compresa quella degli anticlericali. Essere laico vuol dire non solo esercitare l’arte del sospetto ma anche agire per una solidarietà che non ha bisogno di un fondamento”.

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