domenica 10 giugno 2007

ancora sul manifesto del pensiero laico - tolleranza e dintorni -

“I legittimi poteri di governo si estendono a quegli atti che recano offesa agli altri.
Ma non ci reca offesa che il nostro vicino sostenga che ci sono venti dei o che non ce ne sia nessuno”
Thomas Jefferson (1871)


tolleranza e dintorni.
ancora sul libero manifesto del pensiero laico.

Conosco i cosiddetti “fratelli” laici, le “sorelle” laiche.

A loro lascio quella vita religiosa senza considerarla migliore o peggiore della mia.
Diversa, questo sì.
E dunque affermo la mia identità diversa di laico anticlericale.
La Chiesa ha avuto ed ha collaboratori e pensatori laici, alcuni di tutto rispetto per il loro pensiero, altri di tutto rispetto per la posizione che avevano o hanno ottenuto.
Conosco questo laicismo.
Si è “laico” rispetto a qualcosa in più, in un rapporto nominale gerarchico. Proprio nel cristianesimo si sviluppa in realtà questo termine (che deriva dal greco laos, popolo): rispetto a “chierico”, laico è colui che “non è insignito di ordini ecclesiastici”. I “frati laici” sono coloro che si occupano dei servizi manuali, o comunque minori, poiché non investiti degli ordini ecclesiastici. “Essere ridotti allo stato laicale” significa non possedere più prerogative dello stato sacerdotale. Questa è una visione chiesocentrica del laico.

Per cui, davanti alla Chiesa, con i miei pensieri esposti e a tratti urlati al deserto dei dogmi, posso essere preso all’interno della comunità ecclesiastica in quanto pecorella smarrita e, dunque, da orientare sulla retta via.
Il che vuol dire, ancora una volta, colonizzazione mentale: ti salviamo figliolo, in nome del cristo (che, tanto per essere chiari, in greco vuol dire “unto”, ovvero messia, titolo già posseduto da altre divinità terrene morte e risorte, vd. ad esempio Tammuz, che da Babilonia giunge a Gerusalemme prima di un certo Gesù), ma tu ascolta il suo messaggio e pentiti e redimiti. Ti offriamo la Salvezza, ti offriamo la nostra Casa, ma tu devi conoscere il Credo.
L’uomo si muove su due binari. Quando è su quello del male, può tornare al bene, che, ovviamente, è il binario che porta a Dio (El), a cui comunque è creatura sottomessa. A cui deve rispetto (su una particolare concezione di questo significato, come la pubblicità, tornerò tra poco).
Ecco il libero arbitrio lasciatoci da El.

Per questo nasce il manifesto laico. Del laico libero che risponde: no, grazie.

Laico è chi – agnostico, ateo o credente – nega alla teologia e ai dogmi il diritto alla politica, all’istituzione e al vivere civile.
Laico è chi, pur con un senso religioso interiore, non tollera, e lo ribadisco, non tollera ingerenza alcuna delle istituzioni religiose sui diritti-doveri della Società e dello Stato. Chi non si sente investito dalla fede cristiana, o da altra fede religiosa, chi ne è privo, chi non vuole fare valere i suoi principi religiosi in ambiti istituzionali.
Laico è chi non crede che la Verità sia deposta, che ci siano Dogmi, ma cerca nel confronto (anche con altre culture e persino con le religioni, come ho già scritto, purché queste non prevarichino) e nella conoscenza le verità. Dinamiche, fallaci.
Cerca perché è libero. Cerca perché pensa oltre i dogmi.
Cerca perché è unico padrone di se stesso.
È debole, perché la sua mente non ha risposte per tutto e per ogni risposta si aprono nuove domande.
Ma proprio per questo è anche coraggioso e forte, perché oltre il cielo non vede un dio compassionevole (che poi, e questa è una mia personale considerazione che nulla ha a che fare con il manifesto, è molto più cinico e crudele, sociopatico, rispetto ad altre divinità del passato. Non a caso è viva la sua somiglianza con il dio del deserto egiziano, lo spietato Set, possibile genesi religiosa del popolo ebraico), ma cerca, attivamente ed autonomamente, nuove risposte e altre domande. E sfide. Non al dio, ma a se stesso.

Una società laica non vuole eliminare le Chiese (o altre istituzioni religiose), anzi, proprio nel rispetto dell’individuo e del suo principio di autoderminazione, le tollera.
Tollerare è disposizione a comprendere e a rispettare idee e comportamenti diversi dai propri.
Rispettare è sentimento o comportamento informato alla consapevolezza di diritti e meriti altrui, dell’importanza, del valore morale, culturale di qualcuno. Ma mentre quest’ultimo termine ha una connotazione anche di deferenza, che la società laica non riconosce all’istituzione religiosa, il primo ha forma più ampia e costruttiva di comprensione e indulgenza. Tollerare è termine latino, corradicale di tolere, che significa “sollevare”, originariamente “sopportare”, tuttavia non nella connotazione negativa che diamo attualmente (chissà perché? domanda ironica) a questo verbo.
Nessuna connotazione negativa, quindi, se non quella che nasce da una visione religiosa e/o politica monoteistica e centripeta, in cui la tolleranza, sprigionata da parole, si scontra nella realtà del confronto con altri monoteismi a forza centripeta, dando luogo, più che a stentati dialoghi, a conflitti (la negatività della tolleranza non si potenzia storicamente proprio dall’editto di tolleranza dei cristiani, che sarebbe stato proclamato da Costantino nel 313, e poi rivelatosi un falso, da cui i poteri della Chiesa trassero abile ed assoluta forza temporale e da cui iniziarono l’eliminazione organizzata delle menti e dei corpi non canonizzati?).

In una società laica, la tolleranza è alla base di qualunque patto e diventa mezzo efficace perché si perpetuino la libertà e la conoscenza. Non è paternalismo o condiscendenza, religiosa o tipica di laici conservatori. Non è atteggiamento a denti stretti verso chi non si considera pericoloso per i propri pregiudizi.
È proprio questa forma zoppicante di tolleranza che la società laica non tollera (il gioco di parole è voluto) e condanna apertamente. Quella forma di tolleranza, presente non solo nelle istituzioni religiose (e soprattutto nei monoteismi), ma anche in un pensiero conservatore ad impronta laica (che alle religioni si affianca per comune interesse), tende ad insinuarsi nelle menti degli individui, plasmandole, se può fin dalla nascita (quanti di noi sono cristiani solo perché sono nati in Italia?), indirizzandole verso un bene precostituito, assoluto e tendenzialmente statico.

La società laica, dunque, tollera con occhio vigile le istituzioni religiose.
Ciò significa che alla minima ingerenza nella sfera istituzionale, le isola senza tentennamenti.
Una forma di isolamento, ad esempio, potrebbe essere costituita da condanna pubblica e motivata a cui faranno seguito sanzioni economiche. E a tale proposito, ribadisco, mai dovrebbe agevolarle con benefici che non siano quelli di comuni organizzazioni lecite e civili.
Tuttavia, non le reprime. Non tenta di redimerle.
Questa differenza l’ha mai fatta la Chiesa nella sua passata, e in parte ancora in un certo senso attuale, temporalità?

Una società laica in cui il principio dell’uomo è l’autoderminazione e la libertà della conoscenza, che è negazione e rifiuto del dogma, quale altra Chiesa può volere?
Anzi, si figuri che, in base a quanto sopra esposto (e, lo ripeto sulla ripetizione, già ribadito nel manifesto), una società laica tollera sì la Chiesa (quale espressione di una delle forme religiose, alla pari con tutte le altre), ma nega lo Stato totalitario, anch’esso depositario di dogmi e tendente a svolgere la funzione di un dio, o di un suo diretto rappresentante, istituzionalizzato (per inciso, mi risulta che Hitler avesse un forte spirito e carisma religioso: vedi i riti e i simbolismi di cui è impregnato il nazionalsocialismo; vedi i rapporti con il Vaticano: la Chiesa cattolica tace sul boicottaggio dei commercianti ebrei, sulle leggi razziali di Norimberga del 1935, durante la notte dei Cristalli del 1938, fornisce il suo schedario di archivi genealogici ai nazisti che così conoscono chi è cristiano, da risparmiare, e chi è ebreo, e il resto è storia – quasi - ben nota).

Per quanto concerne la moralità di una società laica, che non ha bisogno di alcuna raccomandazione di divino splendore, ho già trattato nel manifesto. La devo ripetere? Magari è da approfondire, certo, da rivedere, non ne dubito, ma vorrei scrivere anche di “cose nuove”.

Invece chiedo: quale morale cristiana?
Quella sociopatica e crudele del veterotestamento non direi, anche perché non può essere definita ancora cristiana.
Quella del nuovo testamento, allora. Sì, in gran parte condivisibile, bello il messaggio che hanno attribuito a Gesù, e lo scrivo davvero con rispetto (termine comprensivo di deferenza, dovuta alla semplice grandezza del contenuto). Ma se si studiano un po’ i classici (Aristotele, Platone, Socrate, Omero, Seneca, ecc.), si scopre che tanto originale non è.
Quella dai Padri della Chiesa ad oggi? Sopraffazione di cultura, di menti e di corpi.
Così tanta e ripetuta che forse bisognerebbe creare un termine più ampio, e profondo, di genocidio.

Giovanni Sicuranza

Per il loro contribuito tendente all’immortalità e alla revisione, si ringraziano:
Mircea Eliade, “Trattato di Storia delle Religioni”, Bollati Boringhieri Editori S.p.a
Giulio Giorello, “Di nessuna chiesa – La libertà del laico”, Raffaello Cortina Editore
Michel Onfray, “Trattato di ateologia”, Fazi Editore
Carlo Galli, Claudio Magris, Umbro Veronesi et al. “Le ragioni dei laici”, Editori GLF Laterza
Lynn Picknett, “La storia segreta di Lucifero – angelo del male o fonte luminosa di vita?”, Newton & Compton Editori

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