sabato 10 novembre 2007

La cronologia delle lesioni traumatiche - parte seconda -

LA CRONOLOGIA DELLE LESIONI TRAUMATICHE – parte seconda -

a cura del dott. Giovanni Sicuranza, medico legale


1. Riassunto.
2. Premessa.
3. Differenziazione tra lesioni vitali e post-mortali.
3.1. Le dimensioni del problema.
3.2. Uno sguardo al passato; la “reazione vitale sistemica”.
3.3. Il metodo istologico.
3.4. I metodi istochimico ed immunoistochimico.
3.5. Il metodo biochimico.
3.6. Cenni sull'utilizzo di altri markers nella determinazione cronologica delle lesioni.
4. La microscopia elettronica a scansione.
4.1. Elementi fondamentali di microscopia elettronica a scansione.
4.2. La microscopia elettronica a scansione ESEM.
4.3. La microscopia a scansione elettronica nella ricerca dei caratteri di vitalità delle lesioni.
5. Conclusioni.



[….]

3. Differenziazione tra lesioni vitali e postmortali.

3.1. Le dimensioni del problema.

A fronte delle ricerche, tuttora in pieno sviluppo, concernenti nuove metodiche d’indagine, e per la necessità di rispondere a specifici quesiti peritali, è auspicabile che la medicina legale mostri un'attenzione particolare verso l’istocronologia delle lesioni traumatiche.
Si vogliono quindi innanzitutto ricordare schematicamente le quattro fasi in cui è suddivisa la fenomenologia biologica3;4 che segue alla cessazione irreversibile della funzione circolatoria[1].
a) Il latency period consta di una breve fase in cui possono essere presenti funzioni organiche spontanee, con produzione di energia aerobica.
b) Il survival period definisce la cessazione di ogni attività spontanea degli organi, con l’inizio del metabolismo anaerobico.
c) Il resuscitation period è la fase in cui è ancora possibile un qualche recupero funzionale.
In questi primi tre periodi è incluso il concetto di morte relativa, caratterizzato da reversibilità strutturale e funzionale.
d) Il supravital period caratterizza il passaggio tra l’interruzione della funzione circolatoria e la cessazione definitiva di ogni reattività tissutale; in tale fase, che risente maggiormente di variabili intrinseche ed estrinseche, persistono residue e decrescenti potenzialità di risposta ad agenti esterni.
Tra la fine del resuscitation period ed il termine del supravital period si colloca il concetto di morte intermedia, caratterizzato, appunto, dall’assenza di ogni reversibilità strutturale e funzionale, nonché dalla presenza di una potenziale reattività biologica. Le maggiori difficoltà delle applicazioni pratiche si riscontrano proprio in questo arco di tempo, borderline, in cui possono trovarsi sia le c.d. lesioni inferte in limine vitae, sia quelle inferte nell'immediato post mortem, quando, sostanzialmente, vi è la possibilità che noxae traumatiche evochino reazioni qualitativamente simili tra loro, mettendo in difficoltà l’indagine medico forense.
Infatti, secondo alcuni Autori, le lesioni prodotte immediatamente nel periodo postmortale, sarebbero di ardua, se non impossibile, differenziazione in termini di vitalità o sopravitalità; ad esempio, ricerche condotte con le tecniche dell’immunoelettromicroscopia5 hanno dimostrato come il fenomeno dell’attivazione piastrinica, con mobilizzazione delle molecole di adesione, possa avvenire anche poco dopo la cessazione della funzione circolatoria[2]; altre ricerche sperimentali4 hanno aperto la questione se le bande di contrazione, espressione di necrosi delle fibre muscolari cardiache, siano un fenomeno esclusivamente vitale: esperimenti su animali sembrano dimostrare che tale fenomeno può verificarsi anche nel periodo sopravitale, con cessazione della funzione circolatoria, mediante applicazione di corrente elettrica[3].
Tali ricerche, pur senza nulla togliere ai criteri ed alle nozioni applicabili alla quotidiana pratica forense, richiamano tuttavia l’attenzione ad una maggiore conoscenza delle proprietà biochimico-funzionali e delle forme di reattività proprie dei substrati biologici nel periodo della morte intermedia.
3.2. Uno sguardo al passato; “la reazione vitale sistemica”.

Fin da quando la medicina legale assurse ad una autonoma dignità scientifica, la necessità di rispondere a quesiti aventi fini giudiziari, accompagnata dalla curiosità professionale della ricerca accademica, si incentrò sul problema di differenziare essenzialmente le lesioni provocate intra vitam da quelle verificatesi durante (in limine vitae) o dopo la cessazione della vita stessa (post mortem); in ultima analisi, il problema di fondo era, ed è, riconducibile alla possibilità di datare le lesioni in rapporto all'evento morte, stabilendo un loro ordine cronologico.
Già nel 1876 Plenk sottolineava l'importanza della differenziazione tra una lesione vitale ed una provocata dopo la morte6; nel 1882 il Garibaldi scriveva che "altra volta interessa soltanto di sapere quale sia stata la ferita effettuata per la prima, e quale sia stata l'ultima; in questa ricerca la diversa natura delle lesioni incontrate sul cadavere, ed i vari fenomeni della reazione (la reazione è il rossore, il turgore, che succede a una lesione fatta durante la vita) potranno somministrare de' lumi per sciogliere la questione"7;[4]; anche Lombroso, nel secolo dopo, osservava che "importa assai conoscere la differenza tra le ferite inferte in vita e quelle inferte sui cadaveri. In generale, secondo le esperienze del Casper e dell'Hofmann, tanto le parti molli che le ossa mostrano maggiore resistenza ai traumi nel cadavere che in vita"8; Dalla Volta sosteneva che "la diagnosi differenziale tra le lesioni che si verificano durante la vita e quelle che possono prodursi dopo la morte costituisce uno dei compiti fondamentali della medicina legale pratica. La imperfetta conoscenza o la completa ignoranza in questo campo diagnostico da parte dei periti non versati in medicina legale dà luogo a non rari e quanto mai deplorevoli errori" e aggiungeva che "le lesioni intravitali trapassano in quelle post-mortali, non già bruscamente, ma per gradi"9.
In sintesi, senza dilungarsi in un lungo elenco che risulterebbe comunque incompleto, si può affermare che tra la fine del XIX e i primi decenni del XX secolo l'attenzione era posta soprattutto sulla cosiddetta "reazione vitale sistemica", che riguarda il funzionamento degli apparati circolatorio e respiratorio e che consiste essenzialmente in emorragie, trombi, emboli, aspirazione ed ingestione di sangue, di corpi estranei o di varie sostanze.
Da un punto di vista macroscopico, si può affermare schematicamente che, in una lesione vitale, il sangue fuoriuscito dai vasi si infiltra nei tessuti circostanti, mentre i bordi della ferita si divaricano e si rigonfiano dopo circa 12 ore; successivamente subentrano i segni dell'infiammazione e della riparazione tissutale; la crosta può comparire sulle ferite più piccole anche a partire da circa 24 ore, o meno, mentre l'epitelio comincia a crescere ai bordi dopo circa 36 ore, con epitelizzazione completa, sempre riferita alle piccole ferite non complicate, anche dopo 4-5 giorni10.
Quindi, se una ferita presenta i segni dell'infiammazione e/o della riparazione, se ne può stabilire il carattere vitale.
E' tuttavia ovvio come il suddetto intervallo di 12 ore rappresenti un forte limite dell'indagine, spesso troppo ampio per soddisfare i quesiti posti al perito.
Altresì di utilità al fine della valutazione dell’età delle lesioni, sono le variazioni cromatiche delle ecchimosi che si accompagnano, nel vivente, alle ferite, soprattutto quelle lacero-contuse: appena formatasi, l’ecchimosi assume un colorito rosso violaceo; dopo circa 4 giorni diventa bluastra a causa della riduzione dell’ossiemoglobina a emoglobina; quindi, dopo 7-8 giorni, degradandosi l’emoglobina in emosiderina ed ematoidina, l’ecchimosi diventa verdastra e infine, dopo circa 10 giorni, giallastra, fino a che il colore non scompare gradualmente; queste variazioni cromatiche, che si diffondono in maniera centripeta, sono tuttavia soggette a molte variabili, in relazione alla risposta biologica individuale, alle dimensioni e alla profondità delle ecchimosi stesse[5]. Nel cadavere, le variazioni cromatiche delle ecchimosi sono determinate dalla trasformazione putrefattiva dell’emoglobina, passando da un coloro rosso-bluastro verso una tinta brunastra.
Quindi la necessità di determinare con maggiore precisione l’età delle ferite, nonché quella di restringere sempre più gli intervalli cronologici tra le varie lesioni, ha portato alla ricerca di nuovi metodi di indagine, spostando l'attenzione dal macroscopico al microscopico, grazie all'utilizzo pratico, fin dai primi decenni del XX secolo, del microscopio ottico, seguendone l'evoluzione verso la microscopia elettronica e servendosi man mano delle nuove, svariate tecniche messe a disposizione dalle scoperte scientifiche. Nel 1938, Dalla Volta descriveva, tra i primi Autori, "la diagnosi di reazione vitale mediante l'esame microscopico"9, attribuendo ad Orsòs il merito di avere esteso, pochi anni prima, la diagnosi istologica anche alle lesioni immediatamente precedenti la morte, mediante l'applicazione del metodo Mallory[6].
Alla cronologia macroscopica delle lesioni traumatiche, fondata essenzialmente sulla reazione vitale sistemica, ed integrata da altri elementi quali la retrazione elastica dei tessuti, si è dunque validamente affiancata la istocronologia, più precisa e selettiva, basata fondamentalmente sui metodi istologico, istochimico e biologico, che verranno di seguito descritti.


3.2. Il metodo istologico.

Il presupposto per stabilire la cronologia delle lesioni è che ogni azione traumatica su tessuto vivente determina un'infiammazione; ne consegue che conoscere ed analizzare all'esame istologico le varie fasi di quest'ultima suggerisce con buona approssimazione l'epoca di insorgenza della lesione.
L'inizio della risposta infiammatoria avviene a livello della microcircolazione (capillari e venule post-capilari), con la comparsa di una vasocostrizione transitoria delle arteriole della durata di pochi minuti cui seguono la vasodilatazione delle arteriole precapillari, le alterazioni della permeabilità endoteliale e, dunque, la formazione di edema interstiziale.
La seconda fase della risposta infiammatoria acuta comincia dopo pochi minuti, con il richiamo nell'area lesa di leucociti polimorfonucleati in seguito a stimoli chemiotattici; i monociti compaiono più tardivamente, riscontrandosi raramente nell'essudato[7] prima che siano trascorse 12 ore. Tuttavia il preciso momento di comparsa di un'evidente infiltrazione leucocitaria è oggetto di discussione; infatti, vi sono differenti opinioni10;11 circa la quantità minima di leucociti che deve essere presente in una ferita perché si possa parlare di "infiltrazione leucocitaria": la presenza di pochi leucociti alla periferia di una ferita non può certo giustificare la diagnosi di reazione vitale, poiché queste cellule rappresentano una normale componente del connettivo; una limitata demarcazione leucocitaria può quindi essere presente anche in lesioni inferte dopo la morte.
Alcuni Autori12 descrivono la presenza dei leucociti tra le 4 e le 24 ore dopo la comparsa della ferita: si tratta di un vallo leucocitario che circoscrive la zona centrale della lesione, caratterizzata da fenomeni degenerativi e necrotici; altri Autori13 riportano la comparsa di leucociti tra le 2 e le 6 ore dalla formazione della lesione; infine, è stato osservato10;14 che l'infiltrazione perivascolare dei leucociti polimorfonucleati è chiaramente visibile nei casi in cui vi sia stata una sopravvivenza di almeno 4 ore.
In ogni caso, la migrazione leucocitaria è condizionata dalla natura della lesione traumatica e dal grado di stimolazione chemiotattica, essendo rapida nelle lesioni aperte, lacero-contuse, con necrosi dei margini ed esposizione dei tessuti agli agenti batterici, e lenta nelle lesioni chiuse, con scarsa sofferenza tissutale (es.: ecchimosi da suzione); questo perché lo stimolo chemiotattico si formerebbe a causa sia della lisi del materiale cellulare ed ematico, sia della degradazione dell’emoglobina, sia della presenza di prodotti batterici, sia della formazione di immunocomplessi, mentre, come emerso da dati sperimentali, la migrazione leucocitaria è solo in minima parte riconducibile ai classici mediatori della flogosi (prostaglandine, istamina, serotonina)15.
Nei giorni successivi i polimorfonucleati vengono sostituiti da macrofagi, linfociti e plasmacellule, che danno luogo alla formazione di tessuto di granulazione, e alle prime fibre di neocollagene; poi, mentre il numero delle cellule infiammatorie si riduce, le fibre collagene aumentano di numero e di dimensione; dopo circa 3 giorni la proliferazione epiteliale è già visibile, con formazione di tessuto di granulazione vascolarizzato; dopo circa 2 settimane, le fibre collagene assumono una struttura fibrosa, mentre inizia a formarsi la cicatrice.
Generalmente, dopo circa 12 giorni l'attività cellulare regredisce sia nello strato epidermico, sia in quello dermico, determinando l'atrofia epiteliale; ciò non permette più, nemmeno dopo molte settimane, di osservare la ricostruzione della normale rete di supporto; tuttavia, mentre la vascolarità del tessuto subepidermico diminuisce e le fibre collagene si ricostituiscono, dopo molte settimane le fibre elastiche sono ancora sensibilmente meno numerose di quelle presente nel tessuto cutaneo indenne.
Occorre tuttavia avere sempre presente che l'aspetto istologico di una ferita dipende dall'irrorazione sanguigna e dalla portata pressoria, in grado di influenzare il susseguirsi delle varie fasi dell'infiammazione, nonché dalla sua sede anatomo-topografica: ad esempio, nel tessuto adiposo sottocutaneo la reazione cellulare si manifesta più tardivamente (nell'uomo dopo 30-60 minuti) rispetto al derma16.
Inoltre, fondamentale nel determinare le caratteristiche di una ferita, è la presenza di infezione: questa dilata in modo imprevedibile i tempi di guarigione sovvertendo così la possibilità sia di datare la singola ferita, sia di determinarne la cronologia rispetto ad altre lesioni traumatiche17.
Infine, fattori di varia natura, come l’età avanzata, lo stato di nutrizione, l’ipovitaminosi A e C, nonché fattori locali, come l’incompleta rimozione dei tessuti necrotici, la presenza di corpi estranei nel fondo della ferita o lo stesso materiale di sutura, possono influenzare la velocità di formazione del collagene e, di conseguenza, la guarigione delle ferite, rendendo difficile stabilirne la cronologia.
Le suddette fasi infiammatorie, in relazione al loro tempo di comparsa e di durata, sono schematizzate nella Tabella 1.


Tabella 1. Principali alterazioni istologiche in relazione all'intervallo di tempo18;19

Intervallo di tempo
Principali alterazioni istologiche
1 ora
Emorragia, edema, rari leucociti polimorfonucleati.
2-6 ore
Infiltrazioni polimorfonucleati, degranulazione delle mastcellule, deposizione di fibrina
6-12 ore
Fagocitosi cellule e tessuto danneggiato con demarcazione del focolaio flogistico; comparsa dei macrofagi
12-24 ore
Riduzione dei polimorfonuleati, aumento dei monociti/macrofagi e della fibrina.
2-3 giorni
Massima concentrazione dei macrofagi nella zona periferica.
Inizio della migrazione dell'epidermide dai margini verso la zona centrale e della neoformazione dei capillari
3-6 giorni
Sviluppo del tessuto di granulazione; prime fibre di collagene neoformato
6-12 giorni
Riduzione delle cellule infiammatorie, dei fibroblasti e dei capillari; aumento del numero e dimensioni delle fibre collagene
12-14 giorni
Inizio formazione della cicatrice: il collagene assume una struttura fibrosa.

In conclusione, si può affermare che l'esame istologico contribuisce senz'altro allo studio della cronologia delle lesioni, fornendo importanti e specifiche informazioni, e non può quindi essere omesso. È di semplice esecuzione e, con una certa esperienza, di agevole lettura; risulta inoltre relativamente rapido nell'esecuzione e vantaggioso in termini economici[8].
Tuttavia, rimane ancora un periodo di latenza, fra 1 e 4 ore (o più), in cui tale metodo, soprattutto se considerato isolatamente, cioè non integrato ad altre metodiche d'indagine, spesso non è in grado di fornire elementi che consentano di differenziare precisamente le ferite inferte intra vitam, in limine vitae o post mortem.


Giovanni Sicuranza, medico legale

[1] Il riferimento è volutamente diverso da quello della morte giuridica, che è basata sulla cessazione irreversibile di tutte le funzioni dell’encefalo a cuore battente; al fine della presente trattazione, infatti, interessa l’instaurarsi di un’ischemia continua globale.
[2] Nei lisosomi e negli α-granuli delle piastrine si trovano le c.d. molecole di adesione, glicoproteine che, in presenza di un fattore stimolante, vengono attivate e trasportate sulla membrana cellulare ed interagiscono con altre cellule o con fattori della coagulazione.
[3] Bande di contrazione cardiache sono state osservate anche in decessi provocati in modo immediato da traumi di particolare gravità4.
[4] Lo stesso Garibaldi aggiunge: "dice il Casper, se una ferita presenti più estesi e più pronunciati i fenomeni della reazione che un'altra, ed una terza non sia punto arrossata né infiammata sarà dato al medico di poter dichiarare che la prima è anteriore alla seconda e questa alla terza. In alcuni casi però questo giudizio sarà riserbato: avvegnachè si danno dei fatti, come fu notato dal Grossheim, ove alcune ferite mostrano più tardi di alcune altre i segni della reazone; ed il rossore intorno alla ferita fu visto prodursi anche dopo morte come fenomeno cadaverico".
[5] Inoltre bisogna tenere presente che alcune ecchimosi, come le subungueali, nerastre, o le subcongiuntivali, rosse, non subiscono variazione di colore.
[6] Si tratta dell’ormai classico metodo basato sulla metacromasia ematica, cioè una trasformazione dalla basofilia all’acidofilia, che riguarda tessuti che hanno subito lesioni vitali con irreversibili alterazioni colloidali e che, all’osservazione microscopica, si evidenzia con variazione del colore da azzurro cobalto a rosso carmino.
[7] Quest'ultimo di solito raggiunge la massima intensità entro 48 ore.
[8] Nel capitolo 5 verrà fornito un esempio pratico concernente il materiale ed i metodi di allestimento per la lettura istopatologica.

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