martedì 16 ottobre 2007

"Lungo il vento" - recensione di Cinzia Toninato al mio ultimo romanzo


Può il vento trasformarsi in ammonizione, avvertimento, rimprovero, consiglio o castigo?
Nell’ultima creazione di Giovanni Sicuranza, il vento assume le sembianze eteree di un censore divino, il quale vede, prevede e comunica in modo inequivocabile l’approssimarsi degli eventi.
Vento che ulula nella notte, che sferza nella tempesta, che accarezza nella quiete, ma che sgomenta fino a terrificare quando tace poiché nel suo silenzio risiede l’eco della morte, anche collettiva.
Ogni pagina di questo libro appartiene a un unico e vero protagonista: il vento.
E sarà sempre il vento l’unica forza naturale in grado di sfogliare le pagine non scritte del tempo.

Siamo la maschera sociale che ci è stata consegnata alla nascita, e soltanto nell’abbraccio della morte, strappiamo l’inganno rivelando il nostro vero volto

La terribile sentenza di Giovanni Sicuranza grava spietata e imperterrita nel susseguirsi incalzante della storia, frammentata nei ricordi di un passato coinvolto nella guerra, bisbigliata in un presente di calma apparente, ricondotta nelle crepe della terra quando il mondo spalancò le sue cataratte rivelando infamie e intrighi innominabili.
Il paese di Magnanimo, abbarbicato sui pendii delle montagne, non esiste, come non è mai esistito un monopolio dell’informazione, in grado di manipolare le notizie al fine di incutere soggezione, persuasione e orientamenti politici.
Non è mai esistita una figura dogmatica, disinteressata dei suoi fedeli e in combutta con il potente del luogo.
Per ultimo, non sono mai esistite le affiliazioni e le congregazioni segrete, motivate da “il fine giustifica i mezzi” ove il fine legittima l’assoldo di bambini prescelti e il loro preventivo indottrinamento attraverso un’abominevole coercizione fondata sulla violenza psico-fisica.
E le donne? Che ruolo hanno le donne in questa vicenda?
Donne soffocate dalla disperazione, donne private della propria identità poiché il potere riconosce un solo denominatore comune: L’uomo,
donne tradite e fedeli all’ipocrisia consegnata.
Tra queste ininfluenti donne, considerate quasi un disturbo da sopportare, lentamente emerge lei, menomata nell’orgoglio e dalle pulsioni vitali represse, la quale, fantasma dopo fantasma, scoprirà un piacere inconscio difficile da accettare.

Ai giorni nostri, nulla di tutto questo esiste ed è mai esistito , eppure Giovanni Sicuranza ha saputo lo stesso intrecciare il parossismo e trasformarlo in una vicenda inquietante, dai risvolti minacciosi e angoscianti.
Gli anni 40 – 60 e odierni si fondono assieme scandendo in un ritmo serrato, a tratti sincopato, menzogne, rifiuti, abnegazioni, fanatismi e follia sociale, il tutto condito dalla più becera delle falsità: la Giusta Causa.

Siamo la maschera sociale che ci è stata consegnata alla nascita, ma questa maschera è anche il frutto del nostro passato?

Nel momento in cui termina la vicenda e si ripone in un angolo queste pagine piene di aberrazione, di primo acchito si proverà un’autentica sensazione di smarrimento e di confusione, e il dubbio, il dubbio di essere ciò che realmente non siamo , peserà e affannerà fino a quando non subentreranno quei benedetti meccanismi di autodifesa, i quali confermeranno la nostra l’esistenza.

Nota personale: In questo libro non vi sono eroi nei quali immedesimarsi o parteggiare.
In esso vi sono soltanto sconfitti; la sconfitta acquista un sapore diverso per ogni protagonista, e la sconfitta può trasformarsi in conoscenza.
Chiaramente non rivelerò in questa sede il tipo o i vari tipi di conoscenza affiorate, ma vorrei soffermare la mia attenzione su un aspetto di solito ritenuto scontato in ogni libro, ovvero l’implicito messaggio morale.
Ho apprezzato questo libro oltre il dovuto, non solo per la storia in sé ma anche e soprattutto per l’assenza e la rimozione quasi forzata della comune morale.
Sarà la personale morale del lettore a stabilire la valenza di questo libro, conscio che non vi è in esso alcun condizionamento indotto.
E la mia morale (ammesso e non concesso che ne possegga una) mi ha portato a considerare uno dei protagonisti, inizialmente rinunciatario di cure allo scopo di espiare una colpa non sua, un patetico fallito, convinto che il senso di colpa sia un supplizio da trascinare con ostinazione sulla coscienza.
La mia presunta morale, mi ha obbligato a desiderare intensamente di strappare i tre bambini presenti nel libro dalle grinfie del meccanismo amorale perpetrato, pur sapendo che non esistono bambini guerrieri, che non esiste questo tipo di macchina mortale né esistono le mutilazioni corporee e dell’individualità.

Cinzia Toninato

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