martedì 3 luglio 2007

dove scorre il fiume. morte sull'Aposa.

dove scorre il fiume. morte sull'Aposa.
Giovanni Sicuranza

Corre, corre veloce oggi, come mai è riuscita a fare prima.
L’uomo la osserva, affascinato, perso tra le lame lucenti del sole che si innalzano dai suoi profili.
Con lo sguardo l’accompagna fino al masso, dove la vede aprirsi, come in oscena offerta, per poi avvolgerlo di bianca spuma.
E non può trattenersi dal sorridere, nonostante la peccaminosa similitudine.
Nonostante questo non sia il momento migliore per eccitarsi.
Ma l’acqua è impeto raro, d’estate come d’inverno, anche ora che le stagioni non hanno senso.
Però chiamarle ancora con il loro vecchio nome aiuta a elaborare il mito; non è quanto insegnano i Maestri?
L’uomo annuisce sui pensieri della Regola, poi muove un passo, attento a non violare l’Acqua con il suo corpo.
Lei così piena di vita, lei così imprevedibile.
Pura, anche se, dopo il masso, un altro oltraggio tenta di ostruirne la corsa. Un oltraggio ben più grave.
L’uomo si morde il labbro inferiore e socchiude gli occhi.
Vede tutta l’indignazione del fiume per questo nuovo ostacolo, immondo. Sente l’acqua ribollirgli intorno, le vibrazioni rabbiose della schiuma.
- Dobbiamo rimuoverlo, signore.
Amentore Cerisoni, maresciallo capo del Presidio Religioso, abbandona quelle immagini, infastidito.
Muove un altro passo, cauto, sulla sponda umida. Il confine tra il sacro dell’acqua e il profano degli uomini.
- Il bambino dov’è?
- Signore, credo che …
Amentore ha uno scatto verso la donna al suo fianco.
- Cosa – sibila, duro – Cosa c’è capitano Darlia. Cosa.
Lei abbassa lo sguardo, pronta.
Conosce gli spigoli del suo superiore e preferisce non continuare, non respirare nemmeno, se possibile.
E poi c’è il regolamento, chiaro. I gradi della Forza d’Ordine dei Presidi Religiosi sono da intendersi subordinati al sesso, per cui nella scala gerarchica la donna ha un potere inferiore rispetto all’uomo.
Sempre.
- Allora, capitano – insiste il maresciallo – Mi dica del bambino.
- Lo abbiamo trovato seduto sulla sponda, proprio lì, di fronte.
- Era nell’acqua? – si affretta a chiedere Amentore, anche se il tono è già pesante di angosce.
- No, signore – il capitano Darlia sospira, gli occhi ancora al suolo – Per fortuna non è stato necessario sopprimerlo – un altro sospiro – Ora è nell’avio. Lo abbiamo portato lì, perché lei potesse interrogarlo e perché – una pausa – perché …
Amentore segue lo sguardo del capitano, che si alza appena, fragile, fino ad incontrare l’ostacolo blasfemo adagiato nel letto del fiume.
Allora anche lui guarda. Guarda ancora le onde che scavalcano lievi quel cadavere d’anziano e si chiede quanto energia stia sprecando l’acqua.
Il fiume Aposa è sacro. Una rarità di vita.
- Maledizione – mormora, infastidito.
Ogni cittadino di Bonomia sa bene che non può immergersi senza permesso, pena l’annullamento della carta di credito-vita e la conseguente soppressione.
Non si può insudiciare l’acqua con il suo corpo, a maggior ragione è suicidarsi nel fiume è inconcepibile sacrilegio.
Amentore guarda il capitano che a sua volta guarda il cadavere dell’anziano, rivolto a faccia in su, gli occhi sbarrati sulla volta di pietra che racchiude l’Aposa nel suo lungo percorso sotto la città di Bonomia.
Uno sguardo velato dalle onde, e che comunque non potrà vedere nulla, mai più. Perché chi si getta nel fiume sacro perde anche l’Anima.
Amentore ha un sospiro spezzato, morso dalla rabbia.
Gira la testa verso il veicolo parcheggiato alle sue spalle e lo avvolge di rosso e verde. Tra i colori sprigionati dal led sulla fronte del maresciallo capo, l’avio sembra un inerme guscio d’uovo.
Il suo aspetto innocuo è stato voluto dai Maestri per non turbare i cittadini, ma in realtà questo modulo ovale è l’unico mezzo ad idrogeno in grado di scivolare agile tra i canali sotterranei di Bonomia.
Uno strumento indispensabile per il controllo del fiume.
E per la repressione.
- Vado a parlare con il bambino – mormora Amentore, più a se stesso che al capitano, mentre un pensiero emerge tra gli altri con il sapore amaro del sospetto, fino a quando la mente è inondata da una domanda e la domanda trascina con sé una risposta terribile.
Così terribile che il maresciallo capo si allontana senza nemmeno dare l’ordine di rimuovere il cadavere.
Il capitano Darlia ciondola su un piede, poi sull’altro. Osserva i miliziani del Presidio Religioso che si muovono stupiti intorno alla salma del vecchio, attenti a non violare il fiume, e si stringe le spalle. Non può fare nulla, adesso, se non attendere il ritorno del suo superiore.
In fondo, il capitano è solo una donna.
***
- Era tuo nonno, vero?
Amentore china lo sguardo sul profilo sottile del bambino, sulla sua parrucca bianca, senza fronzoli, modello base, d’obbligo alla nascita per tutti. Il Sole picchia duro da molti anni, le nuvole sono singhiozzi distratti nel cielo e la pioggia è un evento così raro da festeggiarsi nell’unico rito orgiastico concesso dai Maestri, ogni anno. È lì, solo in quell’occasione, che avviene il concepimento.
Per questo tutte le donne partoriscono nello stesso periodo.
Per questo chi nasce prima o dopo viene eliminato. Ma solo dopo la nascita, perché la barbara pratica dell’aborto è stato bandita da tempo.
I neonati sono abbandonati tra i rifiuti, o consegnati al Centro della Fertilità, dove vengono utilizzati nei campi per il concime. In questo caso, l’Autorità non punisce i genitori colpevoli.
Questo bambino, invece, è sopravvissuto ai suoi genitori.
Si chiama Esegido, ha dodici anni. E tace.
Amentore affonda gli occhi nelle sue guance scavate, poi sale sulla pupilla nera e la scopre smarrita, chissà dove.
- So che era tuo nonno, Esegidio – decide di continuare – Come so che tua madre e tuo padre sono stati giustiziati perché avevano violato il fiume. Li avevano trovati mentre si bagnavano nelle acque dell’Aposa.
Il bambino non si muove.
L’uomo, che si aspettava una sua reazione, sbuffa, infastidito.
- Ma questo lo sai anche tu.
Esegidio è un lungo ostinato silenzio.
- Allora ti racconto un’altra delle cose che certamente sai. Prima della bomba, questa città si chiamava Bologna. L’Aposa scorreva dimenticato sotto le sue mura. I cittadini non lo ascoltavano. Poi fecero esplodere il Centro della Fiera, il nodo commerciale della città. E il Municipio, dove c’era un’autorità che si chiamava sindaco. I Maestri dicono che sono stati i fanatici dell’altra religione. E se lo dicono loro, è così.
Amentore lascia che una pausa spezzi le sue parole. Esegidio avrà anche lo sguardo lontano, ma le orecchie sono lì, al suo fianco, e sta a lui scuoterle.
- Nello stesso periodo arrivò la siccità. Una cappa di caldo umido che impediva il respiro e che diventava sempre più violenta man mano che passavano le stagioni. Una dopo l’altra, estate, inverno, autunno, senza significato, i giorni sempre uguali, sempre caldi. Sempre umidi.
- Ci hanno salvato i Maestri della Religione.
La voce del bambino, improvvisa, distante, fa’ sobbalzare il maresciallo capo. Gli occhi del piccolo sono ancora in un luogo inaccessibile, ma finalmente eccolo, eccolo qui il prezioso testimone.
- Ah, bene – Amentore si china su Esegidio, appena, un sussurro – E poi?
- Poi il Culto è diventato lo Stato. In tutta Italia. Bologna è diventata Bonomia. E l’Aposa il dono divino, con la sua acqua che scorre fresca nei sotterranei, al riparo dal sole – continua il bambino, monotono.
Ma l’uomo non si scoraggia.
- Bravo. Vedi, allora, capisci. Capisci che non possiamo permettere che l’acqua venga contaminata.
Esegidio annuisce, lentamente. Senza attenzione.
Amentore allora cambia discorso, per entrare in un luogo lontano dall’indottrinamento ufficiale. Un luogo più personale, pieno di emozioni.
- I tuoi genitori hanno violato la Regola – un dito si solleva ad indicare oltre il parabrezza dell’avio - E tuo nonno è laggiù, nell’acqua.
- Nonno Familio – una lacrima nascosta si gonfia sul viso immobile del piccolo – mio nonno è morto –il petto magro sussulta, solo un istante.
Ma per Amentore è una vittoria. Una vittoria annunciata ancora una volta da un segno d’acqua. Dal pianto.
- Eravate seduti sulla sponda, vero?
Sì, annuisce Esegidio, il volto che appassisce sul torace.
- Immagino che stavate pensando ai tuoi genitori.
Sì, ripete con la testa il bambino, mentre un’altra lacrima ne incrina il silenzio.
- I tuoi genitori che sono stati sbriciolati per diventare humus. Scommetto che sapevate bene quanto siano importanti i corpi per la nostra terra arida. Per questo le tombe dei condannati sono lapidi vuote, che riempiono i portici di Bonomia, dal centro fino alla collina. Lapide dopo lapide, una fila che si snoda sulle foto dei giustiziati, senza date, senza nome, solo il reato inciso sul marmo – Amentore si china un po’ di più sul bambino, fino a sfiorarne l’orecchio – Facciamo lo stesso con i neonati illegali, lo sai.
Esegidio lo delude. Non si ritrae, non ha nemmeno una crisi di pianto. Rimane immobile, seduto. Gli occhi umidi, ma ancora irraggiungibili.
Amentore socchiude le palpebre.
- Però tuo nonno non si è ucciso da solo – sussurra, le labbra che ora lambiscono l’orecchio del bambino.
E lo scatto di Esegidio è un’altra vittoria.
Mentre il piccolo gira il volto dalla parte opposta, mentre il suo petto diventa rapida successione di singhiozzi, il maresciallo capo del Presidio Religioso ha la conferma del suo sospetto.
Il corpo del vecchio è rannicchiato nell’acqua.
I gomiti e le ginocchia non sono distesi, come si aspetterebbe da un annegato, ma chiusi, nella posizione di un pugile.
Come accade ai carbonizzati.
E la scia nera che ne avvolge il collo e i polsi è il lugubre ornamento dei suoi sospetti.
- Tuo nonno soffriva di sclerosi multipla – mormora l’uomo al bambino. Ma ora è lui ad avere lo sguardo perso, oltre il parabrezza, e in realtà sembra più rivolgersi a se stesso - Gli hanno inserito il biostimolatore nel cervello per permettergli una vita normale. Quell’apparecchio è un fenomeno, in effetti. Ho visto persone paralizzate ricominciare a correre come cavalli, sai, quegli animali estinti che si vedono negli ologrammi.
Amentore sfiora con gli occhi Esegidio, sottile corpo rannicchiato sul sedile, poi torna a vagare oltre il parabrezza. Nella penombra del sotterraneo vede che i miliziani sono ancora radunati lungo l’Aposa, dove c’è il vecchio.
Solo allora si rammenta che il suo corpo è ancora lì, ad imputridire le acque. E che l’ordine di spostarlo spetta a lui.
- Insomma, te la faccio breve. L’unico difetto del biostimolatore è che in presenza di acqua, anzi, no, di umido, solo di umido, si blocca. Che poi quello che voi cittadini considerate un difetto, per noi è un motivo in più, voluto, per spingere la gente a stare lontana dal fiume.
Amentore si interrompe, infila una mano nella tasca della divisa, lo sguardo sempre sulla scena del sopralluogo. Continua solo quando avverte il freddo del metallo.
- Quindi, quando vi siete seduti sulla sponda umida, tuo nonno si è paralizzato. Per forza.
Il suono che esce dalle labbra serrate di Esegidio lo stupisce. D’istinto, la mano si stringe intorno al metallo.
Il verso si apre un altro varco, simile a un muggito d’onde che tentano di infrangere la barriera di labbra e dolore del bambino.
Poi, la diga del silenzio cede.
- Nonno Familio diceva che papà e mamma erano stati uccisi per nutrire la terra, per renderla più fertile con i loro corpi bruciati – le parole si spezzano sotto l’ondata delle lacrime.
Il maresciallo capo sospira, annuisce. E attende.
- Diceva che l’Aposa è di tutti, perché lambisce la terra dove si trovano i corpi di tutti. Che nelle sue acque ci sono anche i miei genitori. E che se ne sarebbe andato solo così, affogato nel fiume. Nel suo fiume. Nel fiume della nostra famiglia.
Amentore scrolla la testa, piano.
Quanto occorrerà ancora per educare i cittadini all’obbedienza del sacro?
- Lo hai spinto in acqua? – chiede, delicato, un soffio senza rimprovero.
Finalmente gli occhi grandi e neri del bambino salgono ai suoi.
Quanta acqua c’è là dentro, in quel pianto.
- Mi dispiace – geme il piccolo – Mi dispiace.
- Anche a me – echeggia l’uomo – Davvero tanto.
E con un gesto rapido, estrae la lama e l’affonda nella gola del bambino.
Esegidio si accascia senza lamenti. Smette persino di piangere.
Amentore Cerisoni, maresciallo capo del Presidio Religioso di Bonomia, città del fiume Aposa, chiude gli occhi e rimane seduto accanto a quella giovane morte.
Fin quando non avverte il sangue scorrere sul sedile, lento, a lambirgli le cosce.
Come un fiume caldo.

9 commenti:

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