sabato 29 dicembre 2007

considerazioni in salsa noir

Delle serie “ma non hai niente di meglio da fare”, ho deciso di uscire dall’atmosfera in cui inseguo i personaggi del mio romanzo per tentare di esprime un mio pensiero “noir”.

Perché nella località montana in cui mi trovo temporaneamente si respira aria “noir”. Anche nella città dove vivo e lavoro respiro “noir”. Diverso, forse più frenetico. Forse più “distratto” rispetto ad un paese.

Il mio è il parere di un grande lettore (lo sono secondo le statiche italiane, con oltre una quarantina di libri, tra saggistica e narrativa, “divorati” annualmente) e di un piccolo scrittore, emergente. Definito noir.

Premetto che nel genere mi sono trovato per caso, senza cercarlo.
Se per “noir” si intende un dipinto in cui il velo nero della società non è marginale, ma radicato nella società stessa; in cui non è l’investigatore, o solo questa figura, a condurre l’indagine per svelare il crimine, ma il crimine, in ogni sua forma, è il vivere della quotidianità.
In cui non c’è finale consolatorio, con la risoluzione che accontenta e rassicura il lettore. Ma, spesso, tutto finisce peggio di prima.
Ecco, in questo genere mi ritrovo, senza apparenze di moda da seguire.
Oltre i miei racconti, i miei attuali due romanzi sono stati definiti “noir sociali”. Anche se, per quanto scritto prima, “sociali” sembra più ridondanza che rafforzativo.
Eppure, a mio avviso, specificarlo ha ancora importanza, proprio per distinguere il “noir” spicciolo, di vendita, da quello che vorrebbe allontanarsi dall’idea precostituita per il successo editoriale. Successo, tra l’altro, proprio per la saturazione del “noir”, destinato spesso ad essere effimero.

Con questo mi discosto dalla mia produzione, da un lato perché non voglio puntare ad una forma di “autoesaltazione pubblicitaria” delle mie opere (proprio un bel tentativo di marketing!), dall’altro perché affermare di scrivere “noir sociale” non è sinonimo di qualità.

Mi soffermo solo su alcune considerazioni generali.
Spesso il “noir” non è scoperto dallo scrittore come genere proprio, tipico del suo stile ed espressività, ma inseguito per desideri di mercato. E il risultato è quello che lei descrive. Saturazione di superficialità che rende la superficialità quotidianità interessante. E rincorsa dell’editore a fare incetta di quel noir che corrisponde alle richieste di mercato (ci sono eccezioni, per fortuna).
Il “noir”, così formulato, sta uccidendo il “noir”. È l’omicida che desidera uccidere se stesso scambiandosi per la vittima designata.

Eppure, ritengo, per mia esperienza di lettore, che ci sia anche un “noir” che riesce a sopravvivere a testa alta.
È un genere non consolatorio, che parla di morte, di corruzione e non fornisce risposte. Ma proprio per questo dovrebbe pesare sul lettore. Su quello critico, almeno.
Perché spoglia la società delle “maschere” del buonismo, ha il coraggio di vincere l’ultimo tabù dell’occidente e mostrare la morte. Non soffermandosi gratuitamente sui suoi aspetti grondanti sangue (quelli che eccitano ogni lettore, quelli che spingono la gente a formare code in strada per guardare le lamiere di un’auto contorte e verniciate di rosso).
Ma sussurrando, che, alla fine, la morte è necessaria alla vita, come la vita non esiste senza morte. E invitando per questo il lettore a darle un’occhiata. Senza paura, ma come mezzo per riflettere sulle domande lasciate senza risposta dal romanzo noir. Dove finisce il velo nero del sociale? È masticato nella città, assaporato nel paese. Frantumato dalla metropoli e dilatato dalla comunità rurale.

Ma sempre presente, nascosto dalle maschere che indossiamo, maschere su maschere, diverse e imbottite di gentilezza e buonismo. Maschere che crollano per un sorpasso “di troppo”, per un rumore “di troppo” del vicino di casa. E svelano zanne.
Questa è la ricerca del “noir”. Questo il suo tentativo.
Far cadere le maschere, o almeno qualcuna di queste.

E poi ritirarsi, lasciando il lettore solo. Davanti allo specchio.

Giovanni Sicuranza

venerdì 7 dicembre 2007

I segreti del mare (versione Profondo Giallo)

I segreti del mare (prospettiva in giallo) di Giovanni Sicuranza.

La sabbia.
È così piena di se stessa e silenziosa da riempire la mente di Sabina e spingerla a proseguire, fin dove le onde diventano fragile schiuma. Fin dove l’uomo aspetta.
- Ciao – mormora lui, senza voltarsi, gli occhi che navigano nella sinuosità del mare.
Sabina si morde un labbro e ancora una volta si chiede perché.
Perché è qui, in una spiaggia deserta, in compagnia di un estraneo. Perché ha accettato il suo invito.
L’uomo scivola oltre quei pensieri, anzi, sembra essersi già dimenticato della sua presenza. Quando parla le sue labbra si schiudono alle onde.
- Non è possibile che sia lo stesso mare dell’estate. L’ultima volta che l’ho visto era un assembramento di ombrelloni, corpi, sdraio – lo sguardo si muove lento verso la donna, ma si ferma prima, sui profili della spiaggia che è solo sabbia e vento.
E silenzio. Silenzio pieno di sussurri di un luogo deserto, ma vivo.
- Hai freddo? – chiede improvvisamente l’uomo.
Sabina non risponde subito, ancora confusa dal suo atteggiamento, o da tutta la situazione che si è creata in pochi giorni e che l’ha condotta fin qui.
La morte di Cesare, la telefonata di quest’uomo, che è il fratello di Cesare, ma che lei non ha mai visto prima.
La sua richiesta di vedersi, di conoscersi almeno ora. L’appuntamento sulla riva, nei primi tramonti d’autunno.
E lei che accetta.
- No, non ho freddo.
Finalmente lui si volta e porta con sé un sorriso ampio. Troppo ampio. Lei lo guarda, e poi entra nei suoi occhi chiari e, ora, sì, ha un brivido di freddo.
- È bello conoscerti – sussurra l’uomo, senza nemmeno un fremito spontaneo in quell’espressione di cordialità.
- Davvero? – lei non riesce a nascondere l’incredulità.
Ma il sorriso di lui non cede. Allora Sabina cerca rifugio nelle onde che giungono alla riva, si arrampicano nel vento e diventano schiuma bianca che muore sulla sabbia.
- Il mare conosce molti segreti – la raggiunge la voce dell’uomo, calma, profonda, tanto che per un attimo lei crede che a parlare sia stato davvero il mare.
- Perché hai deciso di conoscermi solo ora, Claudio? Ricordo solo una tua telefonata, da quando ero con Cesare.
Dai colori accesi del cielo un gabbiano si lancia tra le onde, piume bianche in un guizzo di spuma bianca, la risalita rapida nel tramonto, con un grido di delusione per aver mancato la preda.
- Quando ieri ti ho chiamata, hai fatto fatica a ricordare il mio nome – sente la risata di lui, breve, sarcastica – Cominciavo a pensare che ora te lo fossi già dimenticata.
Lei si volta, rapida, i suoi occhi che entrano decisi in quelli di lui. E finalmente vede il suo sorriso cedere a un ovale di stupore.
- Non c’è mai stato un buon rapporto tra te e Cesare, anzi, nessun tipo di rapporto ad essere precisi – Sabina spinge le labbra tra la morsa dei denti, poi le lascia fuggire insieme alle parole – Siamo stati insieme per sette anni, Claudio, sette. Abbiamo vissuto felici in questo paese di mare, lontani dalla città. E adesso che ti incontro, filosofeggi sulle poesie della spiaggia deserta.
Claudio annuisce, sospira, ma i suoi occhi sono ancora un nulla chiaro. Chiaro come le onde, come il gabbiano. Un chiaro assoluto, privo di emozioni.
- Volevo conoscerti da tempo, Sabina, ma non ho mai avuto il coraggio, sai, per i rapporti tra noi fratelli. Ma ora che Cesare è morto – si ferma. Le sue palpebre diventano fessure, mentre a poco a poco ritorna quel sorriso senza vitalità.
- Tu, allora, perché hai accettato di vedermi?
Perché in fondo sei l’unico legame che ho ancora con Cesare, perché lui mi ha sempre detto che un po’ vi somigliavate.
Questo gli risponde la donna, ma solo con la mente, e di nuovo si volta verso il mare, in tempo per scorgere il gabbiano che tenta un altro affondo e ancora fallisce.
In realtà non è così, capisce ondeggiando tra delusione e rabbia.
Ed io lo sapevo. Cesare era spontaneo, vero, tu sei solo una copia di frasi fatte e sorrisi plastificati.
- Credi che io sia menzogna, vero? – ora le parole di Claudio sono così vicine alle sue spalle, che lei ne sente l’alito caldo correre sul collo e lasciare la traccia di un brivido – Posso dimostrarti che ti sbagli. E che la menzogna sei tu.
Cosa?, protesta lei, voltandosi verso l’uomo, così stupita che non riesce nemmeno a pronunciare la domanda, così rapida che le loro labbra non si sfiorano solo perché Claudio è altrettanto lesto a fare un passo indietro.
Il suo sorriso è ancora lì, scolpito e falso. Gli occhi, anelli di ghiaccio che svuotano.
- Vogliamo accomodarci? – la invita l’uomo indicando un tronco di legno che si inarca sulla sabbia – Chissà da quanto tempo il mare l’ha dimenticato qui. Non sarà il massimo della comodità, ma almeno è asciutto.
- Cosa vuoi? – lo sfida lei, cercando di essere dura, tanto dura, nonostante l’ansia che si gonfia dentro come marea crescente.
Claudio si è già seduto e continua a guardarla.
Se solo quel sorriso cedesse, pensa veloce Sabina, se solo
- Farti capite che non sono il cattivone che pensi. E spiegarti un po’ di cose senza chiedere nulla in cambio. Con calma – l’uomo allunga una mano verso la donna – Ti va?
Sabina non si muove, non risponde, stringe le braccia al petto, perché vorrebbe che il cuore smettesse di battere così forte, fino in gola, e intanto si sforza di reggere lo sguardo di Claudio.
- D’accordo, come vuoi – si arrende lui. La mano si tuffa nel giubbotto e riemerge con un pacchetto di sigarette – Scommetto che non fumi.
- Infatti – mente lei, mentre la salivazione aumenta alla vista della sigaretta che si accende e diventa tramonto di braci tra le labbra dell’uomo.
Claudio chiude gli occhi, inspira a fondo e abbandona il fumo a disperdersi tra il vento. Poi guarda ancora Sabina. Senza più sorridere.
Lei dovrebbe sentirsi sollevata e invece ora l’espressione di lui è ancora più inquietante. C’è rabbia, una rabbia forte, che si aggrappa sul viso della donna e che lì rimane, per un lungo istante di silenzio nel silenzio della spiaggia.
Sabina pensa che forse è meglio salutarsi, ora, subito, con le reciproche condoglianze per la morte di Cesare. Anche perché non capisce il motivo di quella rabbia, e, insomma, nel complesso non è che Claudio gli sembri una persona tanto a posto, anzi, scema a non intuirlo prima. E poi se lui ha intenzione di farle del male, chi mai potrebbe soccorrerla in questo deserto, e allora è meglio, sì meglio
- Non è meglio se cerchi di rilassarti e mi dai la possibilità di parlarti? – la sorprende ancora lui, con un tono troppo calmo per non essere maschera di emozioni represse – Solo un po’, poi sparisco – alza le mani in alto, come in segno di resa – Promesso.
Sabina ha un lungo sospiro con cui fa’ uscire la parte d’ansia che rischia di esploderle nel petto. Con quella che rimane, decide che tutto sommato il fratello di Cesare merita un tentativo.
- D’accordo – mormora – Ti ascolto.
Non si avvicina, non si siede al suo fianco. Ma lui sembra già soddisfatto così.
Annuisce, un altro lungo tiro di sigaretta, gli occhi che si chiudono ancora e poi si aprono oltre il fumo, nelle onde.
- Non credermi un cittadino viziato, nonostante i miei abiti firmati e la mia abbronzatura artificiale. So ascoltare il mare almeno quanto era in grado di farlo di Cesare. Per questo eravamo simili – il suo sguardo scivola veloce in quello di Sabina, poi torna all’orizzonte – E allora lascia che ti racconti qualcosa – una pausa, un tiro di sigaretta – Me l’ha raccontata proprio il mare. Lui ha molti segreti, te l’ho già detto, vero?
Un’altra pausa, durante la quale l’uomo osserva la sigaretta agonizzare tra le dita, con distacco, anche quando gli ultimi sussulti della brace mordono la mano. Allora si limita a chiuderla nel pugno e quando lo riapre non c’è più traccia di fuoco nel mozzicone.
Sabina non può fare a meno di scuotere la testa. Lui la guarda, con un sorriso amaro.
- Vedi? Probabilmente tu l’avresti gettata nella sabbia. Invece io – seppellisce la sigaretta nella tasca del giubbotto – Nemmeno Cesare lo avrebbe fatto, credimi.
La donna non risponde, ma ha qualche dubbio in proposito. E si chiede quanti mozziconi ci siano nelle tasche di Claudio.
- Scusami, ho la tendenza a divagare. È un mio difetto – l’uomo scrolla le spalle – Uno dei miei difetti – con un cenno del capo indica il mare – Ma ora lasciamo parlare lui, d’accordo?
Sarebbe anche ora, così torno a casa e penso quanto sono stata fortunata ad averti detto addio, pensa Sabina. E ancora tace.
***
- Intanto, mia cara Sabina, voglio raccontarti una ballata. Una ballata del mare, e non sbuffare, per favore, ti avevo detto che avrei lasciato parlare lui. Allora, devi sapere che un giorno, tanto tempo prima di me e te e Cesare, attratta dal lontano luccichio di strade asfaltate, la sabbia uscì dal mare. Aveva deciso di fermarsi sulla riva, giusto il tempo necessario ad irrorare di sole i suoi granelli. Quando fu asciutta, e già si vedeva tornare festosa al gioco profondo delle onde, arrivò l’uomo, che, incurante della sua antica libertà, la schiacciò con ventri di lettini e la penetrò con nerbi di ombrelloni. Da allora le diede il nome spiaggia e la dedicò alle urla orgiastiche dei turisti.
Claudio ha parlato senza pause. Ed ora sembra riprendere fiato, mentre osserva la corsa delle onde verso la spiaggia.
- Vedi, sembra che vengano qui a morire – si volta ancora verso Sabina – Insomma, sanno che si infrangeranno sulla sabbia, eppure non smettono, una a fianco all’altra, una dietro l’altra, in un suicidio di massa.
Sabina si morde un labbro, lancia un’occhiata alle onde e vede oltre le parole di Claudio. Poi torna negli occhi di lui.
- Puoi toglierti quell’aria ironica dal viso, sai? – la aggredisce lui, alzandosi dal tronco.
Lei fa un passo indietro, i muscoli delle gambe che si tendono, il respiro che si blocca. E invece lui si muove verso le onde e vi immerge gli occhi.
- Ti ho già detto di rilassarti. Era solo per dimostrarti che conosco il mare. Non ho intenzione di farti del male, anche se tu e Cesare pensavate che fossi un ingrato.
- Non un ingrato – precisa lei, senza rilassarsi per niente, anzi, con nuove ondate di ansia che si infrangono nel petto – Ma una persona distante da noi, non solo per i chilometri, Claudio, ma proprio per mentalità. Cesare
Lui si volta di scatto, ancora con quel lancio di rabbia negli occhi che colpisce la donna.
- Cesare mi ha chiamato poco prima di morire. Lo sapevi, vero?
No, pensa Sabina, stupita, Cesare non lo ha fatto.
- La tua espressione vale come risposta. Del resto lo immaginavo. Non voleva metterti al corrente che una delle ultime persone che desiderava sentire era proprio il suo odiato fratellino. Mi ha detto che era depresso, proprio lui, sempre allegro – Claudio sbuffa - e troppo irresponsabile per i miei gusti.
- E tu per lui eri un cinico troppo preso dagli affari – ribatte rapida Sabina, ancora confusa al pensiero della telefonata di Cesare.
Claudio scrolla le spalle.
- Lo so. Per questo non ci siamo più frequentati. Che vuoi farci, incompatibilità caratteriale. Ma la prima ed unica volta che tu ed io ci siamo sentiti è stata per una mia iniziativa. Volevo conoscerti almeno al telefono.
- Per poi litigare con tuo fratello sull’assicurazione – aggiunge lei, dura. Spera di avere spiazzato l’uomo e invece la sua sorpresa diventa una cascata che si unisce all’ansia quando scopre che lui ride. Ride davvero, di gusto, e la sua risata diventa eco beffardo che viola il silenzio della spiaggia.
- Basta – mormora Sabina- Basta.
Fa’ per girarsi su stessa, quando le parole di lui la ghermiscono e la bloccano.
- È per la polizza che Cesare è morto, vero?
- Cosa, ma cosa – annaspa lei – Cosa vuoi dire? – riesce finalmente a concludere, mentre si gira verso l’uomo, piano, mentre l’ansia è un fiume che straripa e tenta di forzarle la gola in ondate di nausea.
Claudio torna a sedersi sul tronco e con una mano le indica il posto al suo fianco.
- Credo sia meglio ritrovare la calma e chiarirci, Sabina, tutto qui. Te l’ho detto, conosco i segreti del mare. E qualche altro segreto viene dal mio lavoro – batte piano la mano sul legno – Forza, parliamo.
No, scappiamo, grida l’ansia.
L’uomo batte ancora la mano sul tronco, il sorriso di circostanza che gli lacera il viso.
Ma Sabina ha capito che non ha più scampo e allora, anche se non riesce a parlare, forse nemmeno a respirare, anche se la gambe tremano, in qualche modo raggiunge Claudio. E si siede al suo fianco.
***
- Una sigaretta? – chiede ancora lui.
- D’accordo – si arrende Sabina.
Nei minuti successivi, c’è solo il sussurrare delle onde, il fruscio delle sigarette che si consumano, e il colore del cielo che perde le tonalità rosse e gialle per un blu scuro, sempre più scuro.
Poi, quando il fuoco delle braci e del sole è spento, l’ombra di lui parla.
- Allora, quello che sappiamo è che Cesare aveva una polizza assicurativa molto alta – una pausa, lo sciabordio delle onde - e che in caso di morte tutto sarebbe passato a te.
Silenzio.
- Sabina? – la esorta lui, senza voltarsi a guardarla.
Sabina è sguardo lontano, oltre le parole, oltre il mare. Vede il film della sua vita con Cesare, il loro rapporto tormentato, e si cruccia, perché riesce ad evocare solo spezzoni sparsi della trama. Ma l’amore, profondo, quello sì, è sempre presente e ancora la riempie.
- Sabina? – ripete l’altro.
- Claudio, quando quella volta hai telefonato, era il giorno del nostro anniversario. Ma ovviamente non potevi saperlo. Non ti sei mai interessato a noi. Troppo impegnato nel lavoro di agente assicurativo.
- E Cesare in quello di pescatore. Ma, che tu ci creda o meno, siamo nati qui e un tempo eravamo molto uniti.
- Lo so, forse sarai tu a non crederlo, ma Cesare mi parlava spesso di te. Anche se raramente in modo positivo – Sabina ha un sospiro – Soprattutto dopo la tua telefonata.
- Un’altra sigaretta?
La donna si volta verso il profilo in penombra dell’uomo.
- Sì – decide, non perché la desideri davvero, ma per illuminare almeno il suo viso.
Claudio fruga nella tasca del giubbotto, dove sono giacciono sepolti schiere di mozziconi, poi ritrae la mano, deluso. Il pacchetto che stringe è un ammasso accartocciato da cui cadono residui di cenere.
- Terminate. Sai, con la vita stressante che faccio, ho iniziato a fumare di più.
- Capisco – risponde lei e pensa che è proprio uno stronzo.
- Comunque ti dicevo.
- No, scusa, io ti dicevo. Quella volta hai telefonato perché eri incazzato, non per conoscere me. Eri incazzato così tanto che ti sentivo urlare dalla cucina, anche attraverso la cornetta. E Cesare che tentava di spiegarti di noi.
- Beh, ascolta, quella polizza l’ha avuta grazie a me, era perfetta, mai venduto nulla di così vantaggioso ad un prezzo tanto basso.
- Già, ma l’evento morte era a tutto vantaggio del caro fratellino. Fino a quando non sono arrivata io. Cosa credi, anche se filtrata dalla cornetta, riuscivo a capire qualche tua parola gentile nei miei confronti, tipo “puttana”, “meschina” – Sabina decide di non proseguire. Il ricordo della telefonata la sta scaldando e ritiene di avere mostrato già abbastanza della sua emotività a quest’uomo.
E, soprattutto, non vuole correre il rischio di incontrare ancora il suo sguardo pieno di rabbia.
Ma Claudio la stupisce ancora una volta.
- Da allora Cesare ed io non ci siamo più visti – mormora con tono lontano, distaccato – Poi ho saputo dalla televisione che un uomo era disperso in mare e che le ricerche avevano dato esito negativo.
- Cesare è morto proprio dove avrebbe voluto – un altro lungo sospiro scuote Sabina, le palpebre si stringono, come nello sforzo di scoprire figure celate nel mare oltre l’oscurità – Eravamo in barca, proprio laggiù. Lui ha perso l’equilibrio e non, io ho tentato, l’ho chiamato, ma non so nemmeno nuotare – un singhiozzo, un altro e le lacrime esplodono - L’ho chiamato, l’ho chiamato, credimi, non sai quanto l’ho chiamato.
Claudio la abbraccia.
Lei non ha tempo di stupirsi, non ha voglia di rifiutare, e si lascia andare alla sua stretta. Fino a quando il pianto non sfuma e si accorge che lui sta cominciando a farle male. Allora tenta di divincolarsi, ma l’abbraccio dell’uomo è tenace e le blocca le spalle.
- Lasciami – protesta, già sapendo che lui non lo farà.
- Ti dico io come è andata – sussurra Claudio, le labbra che le sfiorano un orecchio – Sai, la telefonata di mio fratello dopo anni di silenzio mi ha stupito. Figurati sentirlo così depresso. Mi ha detto che voleva salutarmi, salutarmi davvero, perché non sapeva più quale strada prendere – un sospiro, che penetra nell’orecchio di Sabina con violenza – E vuoi sapere cos’altro mi ha detto? Che anche tu eri depressa, molto depressa. Solo che quel giorno ero in riunione e ho dovuto riattaccare in fretta, anche se, sì, lo ammetto, l’ho fatto con un cero piacere, visto che non gli ho perdonato il voltafaccia con l’assicurazione. Sai, sono cose che non si fanno ad un fratello.
Senza rendersene conto, Claudio stringe ancora di più la presa. Sabina geme, ma non osa più divincolarsi, nemmeno parlare, o, peggio, urlare.
È in balia di un folle e forse solo dopo il suo sfogo sarà libera, forse, per favore, forse.
- E allora ho pensato che nella sua morte tu hai avuto un ruolo. Sono un agente assicurativo, ho conoscenze dappertutto, anche tra i medici. Così, ho scoperto che la donna di mio fratello in passato aveva avuto due ricoveri per sindrome depressiva e ho tirato le somme.
No, tenta Sabina con la testa.
- Ssst – la ammonisce Claudio, con calma, l’alito che avvolge l’orecchio di lei – Allora, ecco come è andata, mia cara. Non so se Cesare era d’accordo con te, ma siccome non sono quel mostro che pensi, voglio darti il beneficio del dubbio e pensare che non hai organizzato tutto per i soldi dell’assicurazione.
Poi Claudio fa’ una cosa che sorprende e blocca Sabina ancora più di quanto potesse credere. Le bacia l’orecchio, delicato. E allenta la presa.
- Ora ti lascio andare, ma tu prometti che finisci di ascoltarmi, d’accordo?
Sabina non si muove. Sente l’orecchio umido e vorrebbe scattare, urlare, asciugarlo subito, ma è ancora smarrita da quel gesto.
Claudio stringe di nuovo la presa.
- D’accordo? – ripete, con tono decisamente meno conciliante.
Sì, risponde allora lei, ancora solo con la testa, sì, sì, sì.
- Bene, Sabina. Sai, non credo che tu sia proprio una cattiva persona. Solo, hai qualche problema, cioè, molti problemi.
E finalmente Claudio la libera dall’abbraccio.
Sabina non si muove, non ci pensa nemmeno, il capo chino sotto il vortice di pensieri di rabbia, frustrazione, paura. Dolore.
- Stai bene? – chiede lui, sorprendendola ancora con un tono premuroso.
Gli occhi di lei si sono rifugiati nella sabbia, e non hanno nessuna voglia di risalire, ma quando sente il tronco sollevarsi, Sabina capisce che lui si è alzato. Poi ne ascolta i passi pesanti muoversi e fermarsi davanti a lei.
- Lui era depresso perché tu eri depressa e non riusciva più ad aiutarti. Ti amava così tanto che, non so come, avete deciso di togliervi la vita insieme. Nel mare. Magari Cesare era convinto che vi sareste gettati insieme, ma alla fine proprio a te è mancato il coraggio.
- No! – scatta all’improvviso Sabina, con uno slancio inaspettato, mentre i suoi occhi salgono in quelli di Claudio.
L’uomo aggrotta la fronte, spiazzato. Solo un istante.
Subito dopo il suo sguardo si riempie proprio di quella rabbia che Sabina ha sperato di non ritrovare.
- No? – urla – No? – ripete in un crescendo di tono - Allora lo hai ingannato per avere i soldi dell’assicurazione! Gli hai fatto credere che sareste morti insieme e quando lui si è gettato ti sei allontanata!
Sabina si nasconde il volto tra le mani.
- Lasciami, lasciami per favore – singhiozza.
- È così, allora, è così, maledetta.
Sabina serra gli occhi e affonda la testa tra le spalle, in attesa che lui la colpisca e intanto non riesce a trattenere le lacrime, non riesce più a fingere che anche lei è forte.
Spera solo che Claudio vendichi la morte del fratello senza farla soffrire troppo e aspetta.
Silenzio.
Apri gli occhi, si dice.
Silenzio.
Non ci penso nemmeno
Silenzio.
Non puoi startene così, magari è andato via davvero
Le dita scivolano caute sopra le lacrime e quando apre gli occhi, Sabina vede la distesa scura del mare. E null’altro.
Rimane così, cercando di soffocare il pianto, di rallentare il respiro per cogliere la presenza di lui, ma quello che ascolta è solo il suono delicato delle onde.
- Il mare parla – la voce di Claudio arriva alle sue spalle.
Sabina ha uno scatto e solo una mano calata sulla spalla le impedisce di urlare fino a lacerarsi i polmoni.
- Stai calma, sto andando via – spiega l’uomo, di nuovo apparentemente calmo – Ma, come vedi, tra noi in realtà sei tu quella che devi qualcosa al mare. Non ti denuncio Sabina, non farò nulla. Almeno per il momento. Perché conto sulla tua depressione e spero che in qualche angolo della tua mente ci sia ancora amore per mio fratello. Quindi – la voce si abbassa di nuovo fino al sussurro caldo che sfiora l’orecchio della donna – Quindi, Sabina, non mi salutare, non ti voltare nemmeno. Continua solo a guardare il mare e pensa. Credo tu sappia cosa è giusto fare.
Un altro bacio, ancora, delicato, questa volta sul viso e poi quello che rimane di Claudio è il rumore dei passi che si allontanano.
Sempre di più.
***
Sabina non smette di piangere, nemmeno ora che è sola. Sola nel deserto della spiaggia, sola davanti alla vastità del mare.
Ai suoi segreti.
Si spoglia, piano, scossa dai singhiozzi, e intanto il suo sguardo affonda tra le onde.
Solo quando rimane in slip e reggiseno entra nell’acqua.
E scopre che non è nemmeno così fredda come credeva.
***
Claudio cammina sul marciapiede che costeggia la spiaggia, diretto verso l’auto. In realtà si muove come un automa, gli occhi che non vedono il percorso, ma guardano dentro, nel turbinio dei pensieri.
Si era fatto l’idea di una donna fragile, gravemente depressa, che a poco a poco aveva spinto il compagno nel baratro della sua stessa malattia. Una donna che aveva costruito il suo amore nell’idea della morte, ma che all’ultimo aveva perso il coraggio, forse proprio perché aveva visto Cesare inabissarsi.
- Buffa la vita – mormora a se stesso, mentre una mano affonda nella tasca, alla ricerca di una sigaretta superstite tra i mozziconi. E quando non trova nulla, nemmeno un frammento di caramella, si rende conto che l’attesa sarà lunga. Molto lunga.
Chiuso nell’auto, osserva la luce dei lampioni e si chiede distrattamente come sarebbe la notte illuminata da tante lune.
Accende lo stereo e si lascia avvolgere dalle tiepide note dei Cocteau Twins.
Probabilmente, ci sarebbero meno ombre in cui morire, si risponde. E chiude gli occhi.
E aspetta. Aspetta mentre immagina Sabina, bianca di morte, che galleggia nell’acqua scura e ripensa a come si è comportato con lei.
- Sei un fenomeno – bofonchia, mentre tutto intorno e dentro lui diventa buio e i Cocteau Twins affondano nel suo sonoro russare.
***
“Chi ami?”
“Nessuno”
“Chi odi?”
“Cosa? Ma che c’entra, adesso”
“Chi odi?”
Claudio sospira, fa’ per passarsi una mano sul viso, ma poi si ricorda che è sul fondo del mare e che asciugarsi non ha molto senso.
“Chi odi?”, insiste la voce dal buio.
“Dove sei? Non mi piace parlare a chi non vedo”, risponde Claudio, girando su se stesso con un’unica spinta del piede. L’acqua lo segue con una scia di bollicine e solo allora lui nota un particolare. Così ovvio, che non poteva farci caso.
“Chi odi?”, ripete la voce, ora più vicina.
“Non respiro”, trema Claudio, “Oddio, oddio, oddio, non respiro. Non ci sono bolle quando parlo”
“Chi”, la voce, a pochi istanti da lui, “Chi odi?”.
Ma dove? Alle sue spalle? Sopra?
Claudio si volta, frenetico, ovunque, in un vortice di oscurità totale.
“Chi sei?”, grida, così forte che dalla sua bocca dovrebbero esplodere bolle grandi come palloni. Invece nulla.
“Chi odi, Claudio?”.
“Io”, esita lui, “Io non, io sono, no, non è vero, non sono morto!”
“Io sì”. Il viso bianco della donna è ora a un soffio dal suo. Così vicino che Claudio riesce a notare tutte le screpolature delle labbra gonfie, ogni tortuosità delle vene che emergono dalla pelle sottile. E il freddo, un freddo così assoluto da annullare quello dell’acqua notturna.
“Vuoi baciarmi ancora, Claudio?”, chiede Sabina, mentre allunga alghe e braccia e con una mano gli sfiora già un orecchio.
Claudio chiude gli occhi, ma il viso di Sabina è dentro di lui e continua a sfiorarlo, bianco e gelido. Allora, prima che le labbra della donna incontrino le sue, fa’ l’unica cosa che gli è ancora concessa in quel mondo sommerso di morte. Urla. E urla. E urla.
***
- Ma che sei, rincoglionito del tutto?
- Eh? – Claudio si guarda intorno, gli occhi sbarrati, pronto a ricominciare, anche se quella voce non sembra più di Sabina.
- Allora, tanta cura nei particolari ed ora ti metti a gridare come un’isterica.
- Urlare? – ripete Claudio, scoprendo che si trova nella sua auto e che chi parla non è certo Sabina, né un qualsiasi altro cadavere.
- Urlare, sì – lo rimprovera l’uomo, senza alzare la voce – Vediamo di svegliare tutti, così, tanto per farci notare insieme.
Adesso, sì, Claudio si passa una mano sul viso. Adesso, sì, avverte il tepore del suo alito sul palmo e sospira, sospira a fondo. Poi si gira verso l’altro e gli sorride, con una spontaneità così intensa e nuova, che solo ora l’uomo seduto al suo fianco sembra davvero preoccuparsi.
- Tutto bene?
- Bene, sì, tranquillo – un altro sospiro e si sente già più leggero. E vivo – E tu, tutto a posto?
- A posto, anche se sono a pezzi – risponde l’altro. E tanto per dimostrare che non esagera, si appoggia sullo schienale e chiude gli occhi.
Claudio lo scuote. L’uomo apre appena la palpebra utile per lanciargli uno sguardo contrariato.
- Che vuoi ora? Solo tu puoi dormire?
- Lo sai che non abbiamo finito.
- Uff, senti, l’ho osservata fino a quando non è entrata nell’acqua. Anche se – l’uomo si morde un labbro.
- Anche se cosa? – lo esorta Claudio, un campanello di allarme che gli trilla intorno – Mi sono impegnato con tutta quella sceneggiata, non dirmi che qualcosa è andato storto.
- È questo il punto, bello – l’altro apre completamente gli occhi e si gira verso di lui – Hai voluto fare il grande, dimostrare quanto riesci a plagiare una persona con le tue capacità.
- Beh – inizia Claudio, sentendosi all’improvviso poco sicuro – Ci sono riuscito, no? Tutte quelle balle, insomma, ha creduto davvero che fossi il fratello arrivato a chiedere giustizia.
- Già. Questa era la parte più facile, considerato che non lo aveva mai visto – ironizza l’altro.
Claudio ha un desiderio improvviso. Prendere quell’uomo per i capelli e spingergli il volto oltre il parabrezza. E invece gli dedica il taglio di un sorriso.
- Cosa non ha funzionato?
- Te l’ho detto che Sabina era una vigliacca. Non ha mai avuto il coraggio di suicidarsi. Nemmeno quando io mi sono immerso chiedendole di seguirmi. Nemmeno quando sono sparito dalla sua vita – Cesare socchiude le palpebre su Claudio – Nemmeno ora, nonostante la tua grandiosa recita.
- Cazzo! – un pugno si abbatte sullo schienale, a pochi centimetri da Cesare, che sobbalza.
- Ehi, attento!
- Cazzo! – ripete Claudio, prendendosi il volto tra le mani – Non è morta?
- E’ morta.
Silenzio. Piano, come nel timore di perdere quella frase, Claudio alza il viso su Cesare.
- Morta?
Cesare si illumina, godendo del trionfo sul complice.
- Lo sai che me ne stavo al largo per nascondere il corpo. Quando ho visto che se ne stava lì, come una beota, con l’acqua fino al collo, mi sono avvicinato con la barca e – cala il pungo sul palmo – un colpo di remo secco, preciso. Le ho aperto il cranio in due.
Claudio ha un’espressione di disgusto.
- Ehi – lo aggredisce Cesare – Te e le tue filosofie fallimentari della non violenza. Non dovevo lasciarmi convincere dal tuo piano.
- Non volevo sangue, lo sai. Credevo che la sua depressione bastasse a
- Bastasse un paio di – inizia Cesare e subito si blocca, rendendosi conto che sta iniziando ad urlare.
- Forse è meglio se ce ne andiamo da qui – propone Claudio e fa’ per accendere il motore, ma un dubbio cala sulla mano che regge le chiavi – Hai nascosto ogni traccia?
Cesare annuisce.
- Tutte?
Cesare sbuffa.
- Senti, non è stato piacevole, per questo avevo dato a te l’incarico di far fuori Sabina. E invece te ne esci con la teoria psicologica su sensi di colpa e depressione.
- Ma tu risultavi morto, non potevi ucciderla! E lo sai che io
- Sì, sì, non sopporti il sangue – lo liquida Cesare con gesto sprezzante della mano.
- Hai cancellato le mie tracce? – insiste Claudio.
Cesare ha uno sbadiglio così largo da riempire tutto l’abitacolo, si adagia ancora sullo schienale e socchiude gli occhi.
- Ho spaccato la testa della mia compagna - cantilena - l’ho presa sulla barca, l’ho legata con le catene e l’ho gettata al largo. Passeranno giorni, forse settimane, prima che la troveranno. Poi, mentre tu te ne stavi qui al calduccio a dormire, sono tornato alla riva, ho preso i suoi vestiti e ho cancellato le vostre tracce sulla sabbia – pausa, una palpebra che si apre a sfiorare il compagno – Contento?
- … fanculo.
Con un lamento soffocato, l’auto esce dal paese.
***
Nell’abitacolo il silenzio è pressoché assoluto, a parte il sussurro del pianoforte di Sakamoto.
Mentre guida, Claudio lascia scivolare lo sguardo lungo i profili in penombra della spiaggia deserta. Ripassa mentalmente tutti i preparativi degli ultimi mesi e ancora si stupisce del fallimento del suo piano. Era convinto di riuscire a spingere Sabina al suicidio recitando la parte del fratello di Cesare, suo omonimo.
In realtà, Claudio e Cesare si sono conosciuti proprio grazie al fratello. Claudio e Claudio, una coppia di convincenti agenti assicurativi.
Tanto che Cesare aveva stipulato una polizza molto vantaggiosa a beneficio del fratello.
Solo che poco dopo Cesare si era innamorato.
E tutto era cambiato, oltre il cambiamento del beneficiario a vantaggio della sua compagna. Sì, tutto era cambiato con tre eventi che si sarebbero rilevati la premessa della morte di Sabina.
Il fratello di Cesare era morto d’infarto proprio pochi giorni dopo la telefonata del litigio.
La società di pescatori aveva dichiarato fallimento e Cesare si era trovato a vivere alla giornata, sperando nelle capacità della sua piccola imbarcazione e nella benevolenza del mare.
E al ritorno a casa, ogni volta, l’uomo trovava una donna apatica, impotente contro la depressione che la avvolgeva. Una donna che, da amata, si stava trasformando in zavorra. E che gli annullava ogni speranza di futuro.
Allora, a poco a poco, dapprima tra vaghi accenni, poi tra mormorii e quindi in discorsi particolareggiati, tra Cesare e il suo amico era nato il piano.
Prendere i soldi dell’assicurazione e allo stesso tempo sbarazzarsi di Sabina.
Ma prima Cesare doveva morire.
- I documenti sono pronti, hai detto – la voce spezza i pensieri e riporta Claudio sulla strada. Con la coda dell’occhio sfiora l’amico che osserva lui.
- Passaporto, carta d’identità. Tutto a posto.
- Già – ride Cesare – dove andremo la patente non ci serve. Solo mare e sabbia e sole.
- E un lavoro di consulenti alberghieri.
- Ma con calma – precisa Cesare – Con tutti i soldi che ci aspettano per la mia morte.
Claudio annuisce, lo sguardo sulla strada nera.
- Con calma.
Claudio e Cesare si guardano ancora un solo istante. Occhi negli occhi. E, dall’omicidio di Sabina, è la prima volta che si ritrovano a ridere da vecchi amici.
Intanto, però, Claudio preme sull’acceleratore. Ha fretta di avvicinarsi alla città.
C’è ancora molto da fare.
Innanzitutto, la curva a gomito lo aspetta. Lì, il caffé che Cesare ha preso dal thermos avrà già fatto il suo effetto. E il caro amico, drogato e assopito come un putto, si farà un bel volo nel burrone, con tanto di auto in fiamme al seguito.
Poi, il mattino dopo, al lavoro, dovrà affrettarsi a trasferire la cifra della polizza sul conto corrente di Sabina. Che è poi quello in comune con Cesare. E di cui Claudio, nell’ombra, è diventato cointestatario.
Tutto preciso, tutto veloce. Tutto in ordine. Come piace a lui.
Sorride ancora a Cesare, che ha già chiuso gli occhi sui suoi ultimi minuti di vita.
Allora abbassa il finestrino, solo un po’, e inspira l’aria di mare che scorre nella notte.
***
Nella Caserma dei Carabinieri, il Maresciallo Capo Pasquale Losaccio si stiracchia soddisfatto. È stato un turno duro, oltre il previsto, tanto che ha dovuto lasciare le seccature per la sera. Come compilare l’avviso di garanzia per la signora Sabina Dolore, indagata da quando si è scoperto che risulta beneficiaria di una cospicua somma in caso di decesso di Cesare Scoglio. E poiché domani mattina lui stesso provvederà ad un sopralluogo all’agenzia assicurativa, mentre i suoi colleghi bloccheranno il conto corrente della donna, l’avviso di garanzia non poteva essere rimandato.
Ma ora, finalmente, il Maresciallo Capo può lasciare la scrivania e tornare a casa prima di una nuova giornata impegnativa.
Pasquale Losaccio si affaccia dalla finestra, giusto in tempo per scorgere un’auto che corre oltre i limiti.
Scuote la testa al pensiero che nessuno dei suoi colleghi è nei paraggi, poi lo sguardo si allunga verso il mare.
Chi se ne frega, si dice, ho solo bisogno di rilassarmi.
Chiude la finestra, spegne la luce sulla scrivania e sbadiglia, già pregustando la passeggiata fino a casa.
Lungo la spiaggia deserta.

mercoledì 5 dicembre 2007

"La legge dei figli" presentata al Campidoglio

Addirittura. Proprio la raccolta in cui è presente anche il mio racconto "Il museo delle cere"?
Sembra proprio di sì. E allora complimenti a me stesso e agli altri autori. E grazie all'editore e ai curatori (se ho dimenticato qualcuno, mi appello alla Costituzione).

Da www.zaffoni.it , notizia 032:

"Un'antologia per la Costituzione.

139 articoli, 18 disposizioni transitorie e una storia che risale al 1948. Questa è la nostra Costituzione, che da sessant’anni fonda i valori della Repubblica Italiana, le sue leggi e la convivenza dei suoi cittadini. O almeno dovrebbe farlo.

Con La legge dei figli (Meridiano Zero) sedici scrittori della giustizia italiana - agenti delle forze dell'ordine, magistrati, funzionari - mettono alla prova la Costituzione di cui sono figli. Prendendo spunto da singoli articoli ci raccontano un paese in cui nulla è scontato, nemmeno l'applicazione dei principi stessi lasciati in eredità dai padri costituenti. Il risultato è un percorso a tinte nere per scoprire un'Italia in cui le ombre non si annidano solo fra il malcostume e la criminalità, ma soprattutto nell'oblio della Costituzione stessa.

Gli autori: Piernicola Silvis, Gianpaolo Trevisi, Andrea Testa, Angelo Marenzana, Simano Mammano, Maurizio Matrone, Marco De Franchi, Piergiorgio Di Cara, Alessandro Cannevale, Ugo Mazzotta, Giovanni Sicuranza, Carmelo Pecora, Mauro Marcialis, Girolamo Lacquaniti, Sergio Sottani, Marco Pelliccia.
Prefazione di Giancarlo De Cataldo.
L'antologia è curata da Lorenzo Trenti e Sabina Marchesi.

Il volume sarà presentato in Campidoglio martedì 11 dicembre alle 10.30".