mercoledì 31 ottobre 2007

fame

Ha fame.
E non si può dargli torto.
Ha atteso questo momento in silenzio, senza curarsi di null’altro che assaggiare il cibo, così indifferente alle voci che intorno diventavano sempre più aspre, addirittura sempre più taglienti, fino a diventare urla quando lui ha iniziato a dire la sua.
Finalmente.
Ora azzanna la carne con tale rapidità che difficilmente riuscirebbe a respirare, se respirare avesse comunque senso.
Confinato in un mondo buio, privo di stimoli, serrato tra una folla di suoi simili, adesso è così avido di nutrimento che ogni sua energia esplode nei tuffi dentro il cibo.
Vi entra con quasi tutto se stesso, in un istante di assoluto appagamento, e poi risale nell’aria, lungo una scia di liquido che non basta mai a dissetarlo.
E allora ecco, ancora uno slancio, il gusto intenso del morso, il potere della penetrazione, prima di tornare indietro e cercare altre zone in cui affondare.
Forse potrebbe chiedersi se il suo scopo è proprio questo, ma sarebbe un puro esercizio mentale che non lo riguarda.
Nulla conosce e sa conoscere se non la corsa nell’aria per nutrirsi delle profondità del cibo e dissetarsi nel suo gusto.
Così rapido e attento allo stesso modo, da riuscire anche a cogliere ogni diversa sfumatura del suo pasto.
A volte, nella foga, rischia persino di farsi male. Accade quando affonda fino in fondo ed urta dove il tessuto perde sapore e diventa improvvisa barriera biancastra.
Ma chi lo guida sa trasmettergli tutta l’energia che ha atteso e ogni volta riesce ad uscire dal cibo, sudando sangue e frammenti di organi. Per poi rituffarsi nella carne.
Non sa per quanto continua così. Padrone della vita, il tempo non gli appartiene.
Il corpo cade e lui lo insegue, avido a insaziabile.
Fino a quando chi lo ha guidato nell’orgasmo di carne e sangue, non smette. All’improvviso.
E lui rimane così, sospeso nell’aria, stretto nella mano dell’uomo che lo ha guidato.
Sopra il cadavere della donna lacerato dai suoi morsi, ha luccichii di muta soddisfazione.
Ha assaggiato il corpo e gli è piaciuto. Sa che può affondare nella carne con un potere che ha bisogno della scelta dell’ uomo.
E sa che se riesce a spostare la lama lungo il rimorso di chi lo regge, potrà anche assaggiarne la mano.
Ancora carne. Il motivo del suo esistere.
In silenzio, come sempre, come tutti i suoi compagni, il coltello attende.

racconto di Giovanni Sicuranza

Le lesioni da arma da taglio. Un altro protagonista

Alcune riflessioni sulla lesività delle armi da taglio. Entra un altro protagonista.

Le lesioni delle armi da taglio, o punta in taglio, come in seguito meglio spiegato, sono tra quelle di più comune riscontro nei delitti contro la persona e contro la vita. Il motivo è intuibile alla nostra osservazione quotidiana: un coltello può essere reperito molto facilmente, rispetto un’arma da fuoco, basta dare un’occhiata alla cucina. Adesso, però, vi chiedo di non farvi distrarre troppo dal luccichio delle lame casalinghe e di tornare al testo. In effetti, le lame presenti nelle abitazioni, negli uffici, etc., per quanto tagliaenti, non hanno e non dovrebbero avere la finalità di ledere o minacciare la carne, non quella umana perlomeno. Soprattutto se vivente. In questo caso, il loro uso, oltre che illecito, è improprio. Ovvero, si usa uno strumento tagliente per uno scopo che non è proprio di dello strumento stesso (con il coltello da cucina, di solito preparate una bistecca non umana, magari tagliate un pomodoro). Se lo si usa per minacciare, ferire o uccidere un essere umano (per non parlare delle sevizie sugli animali), allora il suo uso diventa improprio.
Inoltre, gli strumenti taglienti sono provvisti in genere da sezione triangolare con uno spigolo affilato, e in questo caso vengono definiti taglienti tipici (ad esempio, coltelli, lamette da barba). Ma la lesione da taglio può essere provocata anche da taglienti atipici, come frammenti di vetro, lamiere di metallo, ecc.
Tuttavia per ogni oggetto sopra elencato, l’azione è comune: si produce una soluzione completa dei tessuti, applicando due azioni:
1. la pressione, che permette alla lama di penetrare nel tessuto;
2. lo scorrimento, che permette alla lama di avanzare lungo il taglio.

Ed ora un esempio pratico sulla diagnosi medico-legale delle ferite, nella differenziazione tra omicidio e suicidio.
Lo scannamento è il taglio del collo che causa in profondità la lesione delle vie respiratorie, dei vasi, dei nervi, dell’esofago.
Nell’omicidio il taglio è di solito in basso e la ferita è orizzontale e profonda, quando unica; se molteplice, le lesioni non sono mai parallele ed hanno varia profondità. Inoltre, in caso di omicidio sono in genere presenti ferite da difesa, come quelle riscontrate nel palmo delle mani (difesa attiva, con la vittima che tenta di afferrare la lama), sul dorso delle mani (difesa passiva, con la vittima che tenta di parere i colpi), sulle spalle o altre parti del corpo (difesa da schivamento).
Nel suicidio, il taglio è in posizione più alta e la ferita è di solito accompagnata da tagli di prova inferti poco prima, paralleli e superficiali.

Breve presentazione del protagonista: la punta e la lama.
Gli oggetti in grado di provocare le suddette lesioni si suddividono in strumenti da taglio, da punta, da punta e taglio, da fendente.
Gli strumenti da taglio hanno le caratteristiche sopra accennate.
Per gli strumenti da punta, si aggiunge che la loro forma è cilindrica o conica con punta tagliente; tipici sono gli aghi, i punteruoli; atipici le punte di ombrello, ecc.
Gli strumenti da punta e taglio: hanno azione pungente e tagliente; tipici sono i coltelli, i pugnali, ecc.; atipici le schegge di vetro, le forbici, ecc. come sopra riportato.
Gli strumenti fendenti hanno una lama spessa e robusta, con spigolo affilato; tipici sono le scuri, le roncole, etc; atipici, grosse e affilate lamine di metallo, etc.

Il carattere del protagonista: le lesioni.
Schematicamente, le lesioni prodotte da un’arma da taglio possono suddividersi in:
1. abrasioni: come accade quando ci si rade e si asporta l’epidermide e strati superficiali del derma sottostante;
2. ferite lineari: quando la lama penetra nei tessuti in modo perpendicolare alla cute, creando una lesione rettilinea (ad esempio nel tronco) o curvilinea (ad esempio nel braccio o nel collo);
3. ferite a lembo: quando la lama agisce in direzione obliqua rispetto alla cute, formando così un lembo a sezione triangolare;
4. ferite mutilanti: quando la lama, con prevalente azione di pressione, ma anche di scorrimento, provoca il distacco completo dei tessuti, di solito parti molli sporgenti come le orecchie.
Le caratteristiche comuni di queste ferite sono:
estensione in superficie e regolarità dei margini (che combaciano perfettamente una volta uniti, in quanto, ad eccezione di feriti mutilanti, non vi è perdita di sostanza); tuttavia, una lama non bene affilata può determinare irregolarità dei lembi della ferita;
angoli acuti e codette. Queste ultime sono l’estensione superficiale del taglio, negli angoli dove la lama entra o esce. A loro volta le codette possono essere tipiche, con quella di entrata breve e quella di uscita lunga, in quanto la lama penetra con azione di pressione ed esce con azione di scorrimento; questo andamento si osserva su superfici piane come il tronco. Su superfici curvilinee, come un braccio, le codette mancano o sono invertite, cioè quella di entrata è più lunga di quella di uscita. Ecco che studiare le caratteristiche delle codette è utile per determinare la direzione del taglio.

Le ferite da punta si distinguono essenzialmente in:
ferite da strumenti sottili: prodotte da aghi, spine, spilli, etc., con aspetto puntiforme;
ferite da strumenti di sezione maggiore: prodotti da chiodi, etc; possono determinare ferite superficiali superficiali o profondo, persino trapassanti. I margini hanno un orletto escoriato nell’entrata, che manca all’uscita: inoltre il foro sulla cute è più piccolo di quello dello strumento a causa della retrazione dei tessuti nel vivente (particolare che dunque non si osserva in lesioni inferte post-mortem). A volte, come quando viene intaccato un osso piatto, la ferita produce uno stampo caratteristico della forma dell’oggetto usato.

Nelle ferite da punta e taglio, oltre alla possibilità di riscontrare lesioni a stampo (ad esempio, nell’uso di forbici, la forma sulla cute, o su superficie ossee piatte, è a losanga se le lame sono chiuse, è a coppia simmetrica a lame aperte), si osservano:
margini netti e divaricati; forma ovale; lesione più profonda che lunga; codette.
Inoltre, se lama ha una doppia superficie di taglio, gli angoli della ferita saranno entrambi acuti. Se la lama è monotagliente, l’angolo delle lesione, che corrisponde al dorso smusso e non tagliente, non avrà questa caratteristica e potrà presentare, accentuato, una zona ecchimotica o soffusa circostante dovuta all’azione contusiva dell’oggetto (caratteristica che non si riscontra nelle lesioni inferte post-mortem).

Nelle ferite da fendente, come già spiegato, avviene una discontinuazione dei tessuti. La ferita si forma per azione tagliente della lama, o dello spigolo affilato, e soprattutto per la contusione dovuta all’urto con lo strumento pesante. Pertanto, le ferite potranno essere:
lineari; a lembo; mutilanti.
I margini non sono netti come nel caso dei precedenti strumenti, mancano le codette, mentre sono sempre presenti segni di contusione, come ematomi, ecchimosi (anche in questo caso, però, i segni di contusione da stravasi emorragici, tipici del vivente, mancheranno in lesioni inferte post-mortem).

Giovanni Sicuranza, medico legale

martedì 30 ottobre 2007

Le lesioni da arma da fuoco. Un primo protagonista

Alcune riflessioni sulla lesività d’arma da fuoco. Un primo protagonista.

Una premessa è d’obbligo.
Nel campo della medicina, così come della medicina-legale, a differenza di quanto mostrano film e telefilm vari, nulla è certo e schematico.

Inoltre, quanto di seguito riportato è influenzato da maggiori dettagli, diversi caso per caso. Ad esempio, posizione e distanza di chi spara rispetto alla vittima. E, ad essere pignoli, temperatura dell’ambiente ed eventuali patologie di cui soffriva la vittima (questi sono particolari che non hanno importanza, di solito, nella letteratura).

Quanto sopra, per far capire come mai mi limiterò a dare alcuni suggerimenti, descrivendo in generale. Sarà poi la vostra fantasia e abilità di scrittori a scegliere quali e come usarli.

Breve presentazione del protagonista: la pistola e i suoi proiettili.
Immaginiamo in questa sede l’uso di una pistola a proiettili comuni, non alterati, ovvero di forma cilindor-conica o cilindro-ogivale.
Di solito questi proiettili, se usati a scopo civile (es. caccia) non sono incamiciati come quelli militari, che dovrebbero produrre meno lesioni perché il loro nucle non si deforma o non si frammenta.
Dunque, presumo che la pistola in oggetto non sia di tipo militare, altrimenti occorrerà fare riferimento a proietttili incamiciati. Le pistole comuni hanno proiettili di tipo espansivo, che quando raggiungono il bersaglio si deformano producendo ampia lesione dei tessuti. Questo perché il nucleo molle del proiettile rimane scoperto, cioé non è incamiciato da gusci di rame o altri metalli.

Il carattere del protagonista: le lesioni.
Si dividono in lesioni esterne ed interne.
Contusioni, cioè ecchimosi sulla cute, variabili a seconda della traiettoria e della distanza dello sparo. Attenzione, sono un aspetto vitale, cioè indizio che la persona era ancora viva; al contrario, nei colpi sparati post-mortem, si noterà che in alcune ferite mancano le contusioni.2) Ferite penetranti. Sono il tragitto nel corpo e possono essere a fondo cieco, quando non c’è foro di uscita e il proiettile rimane all’interno (devastando vari organi e tessuti, secondo quanto spiegato prima; ad esempio, se ne può trovare uno nel fegato, intorno allo stravaso emorragico nel peritoneo di questo organo); oppure trapassanti, quando presentano un foro di entrata, un tramite completo e un foro di uscita.
3) Lesioni da scoppio. Non si limitano a penetrare nel tessuto, ma ne provocano la dilatazione. Si osservano ad esempio negli organi cavi e pieni, come una vescica piena di urina, che esplode.

Per i caratteri del foro d’entrata, detto orificio di ingresso, si distinguono colpi a distanza, colpi a contatto, colpi sparati da vicino.

Le caratteristiche dei primi sono:
orletto di detersione, cercine nerastro e untuoso dovuto al depositarsi sui margini della ferita di sporco che il proietile asporta quando esce dalla canna. Raro però osservarlo con le armi moderne;orletto di escoriazione: dove il proiettile intrflette la cute a dito di guanto prima di perforarla ed esercita un’azione di compressione-contusione.

Per i colpi a contatto (quando l’arma è tenuta a diretto contatto con la pelle): il foro di entrata si trasforma in ferita da scoppio per l’azione dei gas che escono dalla canna; quindi si avrà un foro largo, irregolare, molto più ampio del foro d’uscita;l’impronta a stampo: è una piccola ferita figurata, una sorta di tatuaggio sottocutaneo, che riproduce l’asta di guida del carrello mobile della pistola; è causata dalle particelle di gas penetranti.

Per i colpi da vicino:
alone di ustione, prodotto dalla fiamma, con pelle che assumne colore giallastro, secco,meglio visibile qualche ora dopo la morte; può provocare ustione dei peli; alone di affumicatura: dovuto al fumo, annerisce la pelle (scompare con il lavaggio);alone di tatuaggio: effetto delle parti più grosse della polvere da sparo, che, come sopra spiegato, formano un tatuaggio sottocutaneo; alone di compressione: zona di contusione ed escoriazione che si forma intorno al foro di ingresso per urto violento della colonna di gas; ha aspetto giallo-bruno, pergamenaceo in seguito all’evaporazione cutanea post-mortem.I fori di uscita hanno invece margini estroflessi e, a parte le lesioni d’entrata da scoppio, di solito sono di dimensioni maggiori.
Attenzione, foro di entrata e di uscita non sono sempre sullo stesso asse. Ad esempio, se si spara dall’alto in basso, è ovvio che il foro d’uscita sarà più in basso, ecc.

Giovanni Sicuranza, medico legale

lunedì 29 ottobre 2007

Una sintesi schematica dei fenomeni cadaverici

SCHEMI CRONOLOGICI E RIASSUNTIVI DEI FENOMENI CADAVERICI



I fenomeni cadaverici sono un insieme complesso di cambiamenti organici, fisici e chimici che modificano il corpo durante e dopo la morte.
Si tenga presente che la morte non è un atto che si completa nell’immediato, ma è prolungata nel tempo, con la vita che continua in organi e apparati anche a decesso avvenuto, in modo a noi impercettibile.
È proprio su questo principio che si basa la progressione dei fenomeni cadaverici.

Tali cambiamenti fenomenici avvengono nella struttura del corpo e, quando possono essere osservati dall’esterno, come avviene in sede di sopralluogo e autopsia, vengono definiti segni.
Ad esempio, la rigidità cadaverica che si riscontra nel cadavere è un segno. Responsabile di tale rigidità è tuttavia un complesso di fenomeni non osservabili direttamente (per non essere pedante, cito solo uno di questi fenomeni alla base del segno rigidità: la degenerazione dei legamenti muscolari di actina-miosina, provocata dalla scomparsa dell’acido adenosintrifosforico, detto anche ATP, con conseguente blocco muscolare in uno stato di accorciamento).

I fenomeni cadaverici si divino essenzialmente in due gruppi: abiotici e trasformativi.

I fenomeni sono detti abiotici quando dipendono dalla cessazione delle attività vitali; ecco perché i segni che li rivelano all’osservatore sono “negativi”.

Si differenziano dai fenomeni trasformativi, che determinano modificazioni importanti del cadavere. I segni che li rivelano sono pertanto detti "positivi".
Di seguito, uno schema riassuntivo del loro significato e del periodo di comparsa, tenendo sempre presente che ci sono molte variabili, intrinseche (del corpo) ed estrinseche (dell’ambiente) che si combinano tra loro in vario modo, così da non rendere sempre attendibile la cronologia riportata (da intendersi dunque come parametro medio a condizioni standard).

Classificazione dei fenomeni cadaverici

1. ABIOTICI:
· immediati: perdita della coscienza, della sensibilità, della motilità, del tono muscolare; cessazione del circolo e del respiro;
· consecutivi: raffreddamento; disidratazione; ipostasi; acidificazione; eccitabilità neuro- muscolare; rigidità cadaverica;

2. TRASFORMATIVI:
· distruttivi: autolisi; autodigestione; putrefazione;
· speciali: macerazione; mummificazione; saponificazione; corificazione.



Raffreddamento·

ore dalla morte
gradi persi/ ora
prime 3- 4
0.5°
successive 6- 8

successive 12 (e fino a circa 18- 24)
da 3/4° a 1/2° a 1/3° fino a T ambiente

· Il completo raffreddamento del corpo richiede in media 20- 24 ore (da un minimo di 11 ad un massimo di 30), ma è influenzato da molte variabili intrinsiche ed estrinsiche.


Ipostasi §

migrazione totale
prime 6- 8 ore dalla morte
migrazione parziale
tra le 8- 12 ore dalla morte
fissità assoluta
dopo la 15a ora dalla morte

§ ipostasi da replezione (mobile): sino a 8- 10 ore dalla morte / ipostasi da diffusione (indelebile e fissa): dopo 15 ore dalla morte


Rigidità ¨

fase di insorgenza
dalle 2- 3 ore dopo la morte/ dura 12- 24 ore
fase di stabilizzazione
dura circa 36- 48 ore dalla morte
fase di risoluzione
risoluzione completa dopo 72- 84 ore dalla morte


¨ insorgenza e risoluzione: nucaÞ arti superioriÞ troncoÞ arti inferiori (ordine cranio- caudale); in realtà la rigidità inizia simultaneamente in tutti i distretti, ma si rende manifesta dapprima nei muscoli brevi (mandibola), poi nei muscoli più robusti (arti).

Putrefazione ¥

periodo cromatico
tra le 18- 36 ore dalla morte
periodo enfisematoso
3- 6 giorni dopo la morte (estate)
qualche settimana dopo la morte(inverno)
periodo colliquativo
2- 3 settimane dopo la morte (estate)
alcuni mesi dopo la morte (inverno)
periodo della scheletrizzazione
3- 5 anni dopo la morte

¥ formula di Casper: X= 1, 2, 8 (1: se esposto all'aria / 2: se immersione in acqua / 8: se sotto terra; ovvero: la putrefazione, in media, può avvenire più velocemente se il corpo è all’aria, lentamente se si trova sottoterra, in un tempo leggermente inferiore rispetto all’aria se è nell’acqua).

Giovanni Sicuranza, medico legale



N.B.: l'articolo è presente anche su
il blog a cura di Sabina Marchesi (vd. post precedente)

domenica 28 ottobre 2007

Notitia Criminis

Per chi ha qualche neurone accesso di curiosità verso "storie & misteri di vita e malavita", consiglio il blog

"Notitia Crimis"

http://notitiacriminis.blogosfere.it/

a cura della mente acuta di Sabina Marchesi.


Per me è un onore questo inizio di collaborazione con articoli, e forse qualche racconto, nel suo sito.

sabato 27 ottobre 2007

prossima pubblicazione

A cura di Sabina Marchesi e Lorenzo Trenti.
Prefazione di De Cataldo.
Giovanni Sicuranza tra gli autori presenti.

martedì 16 ottobre 2007

"Lungo il vento" - recensione di Cinzia Toninato al mio ultimo romanzo


Può il vento trasformarsi in ammonizione, avvertimento, rimprovero, consiglio o castigo?
Nell’ultima creazione di Giovanni Sicuranza, il vento assume le sembianze eteree di un censore divino, il quale vede, prevede e comunica in modo inequivocabile l’approssimarsi degli eventi.
Vento che ulula nella notte, che sferza nella tempesta, che accarezza nella quiete, ma che sgomenta fino a terrificare quando tace poiché nel suo silenzio risiede l’eco della morte, anche collettiva.
Ogni pagina di questo libro appartiene a un unico e vero protagonista: il vento.
E sarà sempre il vento l’unica forza naturale in grado di sfogliare le pagine non scritte del tempo.

Siamo la maschera sociale che ci è stata consegnata alla nascita, e soltanto nell’abbraccio della morte, strappiamo l’inganno rivelando il nostro vero volto

La terribile sentenza di Giovanni Sicuranza grava spietata e imperterrita nel susseguirsi incalzante della storia, frammentata nei ricordi di un passato coinvolto nella guerra, bisbigliata in un presente di calma apparente, ricondotta nelle crepe della terra quando il mondo spalancò le sue cataratte rivelando infamie e intrighi innominabili.
Il paese di Magnanimo, abbarbicato sui pendii delle montagne, non esiste, come non è mai esistito un monopolio dell’informazione, in grado di manipolare le notizie al fine di incutere soggezione, persuasione e orientamenti politici.
Non è mai esistita una figura dogmatica, disinteressata dei suoi fedeli e in combutta con il potente del luogo.
Per ultimo, non sono mai esistite le affiliazioni e le congregazioni segrete, motivate da “il fine giustifica i mezzi” ove il fine legittima l’assoldo di bambini prescelti e il loro preventivo indottrinamento attraverso un’abominevole coercizione fondata sulla violenza psico-fisica.
E le donne? Che ruolo hanno le donne in questa vicenda?
Donne soffocate dalla disperazione, donne private della propria identità poiché il potere riconosce un solo denominatore comune: L’uomo,
donne tradite e fedeli all’ipocrisia consegnata.
Tra queste ininfluenti donne, considerate quasi un disturbo da sopportare, lentamente emerge lei, menomata nell’orgoglio e dalle pulsioni vitali represse, la quale, fantasma dopo fantasma, scoprirà un piacere inconscio difficile da accettare.

Ai giorni nostri, nulla di tutto questo esiste ed è mai esistito , eppure Giovanni Sicuranza ha saputo lo stesso intrecciare il parossismo e trasformarlo in una vicenda inquietante, dai risvolti minacciosi e angoscianti.
Gli anni 40 – 60 e odierni si fondono assieme scandendo in un ritmo serrato, a tratti sincopato, menzogne, rifiuti, abnegazioni, fanatismi e follia sociale, il tutto condito dalla più becera delle falsità: la Giusta Causa.

Siamo la maschera sociale che ci è stata consegnata alla nascita, ma questa maschera è anche il frutto del nostro passato?

Nel momento in cui termina la vicenda e si ripone in un angolo queste pagine piene di aberrazione, di primo acchito si proverà un’autentica sensazione di smarrimento e di confusione, e il dubbio, il dubbio di essere ciò che realmente non siamo , peserà e affannerà fino a quando non subentreranno quei benedetti meccanismi di autodifesa, i quali confermeranno la nostra l’esistenza.

Nota personale: In questo libro non vi sono eroi nei quali immedesimarsi o parteggiare.
In esso vi sono soltanto sconfitti; la sconfitta acquista un sapore diverso per ogni protagonista, e la sconfitta può trasformarsi in conoscenza.
Chiaramente non rivelerò in questa sede il tipo o i vari tipi di conoscenza affiorate, ma vorrei soffermare la mia attenzione su un aspetto di solito ritenuto scontato in ogni libro, ovvero l’implicito messaggio morale.
Ho apprezzato questo libro oltre il dovuto, non solo per la storia in sé ma anche e soprattutto per l’assenza e la rimozione quasi forzata della comune morale.
Sarà la personale morale del lettore a stabilire la valenza di questo libro, conscio che non vi è in esso alcun condizionamento indotto.
E la mia morale (ammesso e non concesso che ne possegga una) mi ha portato a considerare uno dei protagonisti, inizialmente rinunciatario di cure allo scopo di espiare una colpa non sua, un patetico fallito, convinto che il senso di colpa sia un supplizio da trascinare con ostinazione sulla coscienza.
La mia presunta morale, mi ha obbligato a desiderare intensamente di strappare i tre bambini presenti nel libro dalle grinfie del meccanismo amorale perpetrato, pur sapendo che non esistono bambini guerrieri, che non esiste questo tipo di macchina mortale né esistono le mutilazioni corporee e dell’individualità.

Cinzia Toninato

sabato 13 ottobre 2007

sempre più colorato

http://www.poetika.it/topic.asp?id=2012

in attesa della presentazione con il mitico Baldini (vd. sotto).